Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Così fan tutte, parola di Michieletto

Fonte: L'Unione Sarda
15 ottobre 2013

LIRICA. Uno dei registi più contesi debutterà venerdì a Cagliari con l'opera di Mozart

 

«Il mio intento? Narrare una storia che avvinca il pubblico»

 


Essere definito l'enfant terrible della lirica non gli piace. E non è l'aggettivo a disturbarlo, quello ci sta tutto. «Ma non sono più un ragazzo. Ho 38 anni. Oggi tendiamo a pensarci tutti più giovani di quello che siamo. Ed è un difetto». Considerato tra i registi più interessanti del momento, conteso dai teatri di mezzo mondo, Damiano Michieletto ha il pregio di mantenere i piedi ben saldi per terra. Sposato, due bambini, il successo che lo ha travolto non gli ha montato la testa. Né lo hanno turbato più di tanto i fischi che si sono mischiati agli applausi, in alcuni dei suoi allestimenti più innovativi. Diploma alla Scuola d'Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano, laurea in Lettere moderne all'Università di Venezia, ha debuttato a 28 anni al Wexford Opera Festival con l'opera “Svanda Dudák” di Weinberger. In dieci anni ha prodotto numerosi lavori di prosa e di lirica. Audaci, e mai provocatori per il gusto di esserlo. Ha ambientato un contestato “Ballo in maschera” scaligero sullo sfondo di una campagna elettorale americana, ha trasferito a Casa Verdi l'applauditissimo “Falstaff” di Salisburgo, e sempre a Salisburgo ha portato la prima “Bohème” in assoluto del festival, in versione dark. A Milano, di recente, la sua “Scala di seta” pesarese è stata un trionfo. A metà novembre debutterà a Vienna con “Idomeneo”, ancora Mozart, per affrontare subito dopo, con lo Stabile del Veneto, “L'ispettore generale” di Gogol.
Venerdì alle 20.30 il regista veneto esordisce al Lirico di Cagliari con il “Così fan tutte”, atto conclusivo della trilogia sull'amore di Mozart-Da Ponte portata in scena alla Fenice di Venezia un anno fa. Sul podio l'americano Christopher Franklin. Scene di Paolo Fantin, costumi di Carla Teti, luci di Fabio Barettin. Assistenti alla regia Laura Pigozzo, alle scene Carlo Berardo, ai costumi Lidia Meneghini. Un allestimento insolito, dove l'affascinante geometria mozartiana trova spazio in un hotel dei giorni nostri.
C'è un filo rosso che unisce le tre opere?
«C'è un'idea drammaturgica comune, e mette l'accento su un'analisi psicologica dei personaggi. Nel “Così fan tutte”, ho cercato soprattutto di raccontare il lato divertente della scommessa che viene fatta tra Don Alfonso e i due ragazzi, Ferrando e Guglielmo, ma anche di vederne il lato crudele. Giocare con i sentimenti può costare caro, si può rimanere scottati. Ed è quello che succede a loro, e a Fiordiligi e Dorabella, che alla fine faticheranno per trovare un equilibrio. Qualcosa nelle loro relazioni si è definitivamente spezzato».
L'approccio a Mozart è diverso rispetto ad altri compositori? E quest'opera quanto è profonda oltre che leggera?
«Quello che affascina tutti in lui è la capacità di dire cose molto profonde, mantenendo un tono ironico e delicato. E' una cifra stilistica unica».
Qual è il suo primo pensiero quando le affidano un'opera?
«Mi metto alla ricerca di un modo per raccontare oggi questa storia, di un percorso che possa essere avvincente ed emozionante, cercando di fare un teatro musicale in grado di interrogare il pubblico, oltre che divertirlo. Penso al fatto che tutte le componenti dello spettacolo siano il prodotto di un unico progetto. E poi penso a come gli interpreti possano diventare il centro di questo progetto: sono loro che hanno la responsabilità di offrire le emozioni più intense».
Quanto conta nella preparazione di un'opera lirica la sua provenienza dal teatro di prosa? C'è così tanta differenza?
«Sono due modi diversi, ma come regista l'obiettivo è lo stesso: riuscire nel racconto. Lo si può fare con cantanti o attori, con musica o senza, con masse artistiche o con poche persone, in teatri enormi o piccoli palcoscenici, ma il bersaglio a cui mirare è invariato. Un'esperienza va a nutrire l'altra, per cui cerco di portare avanti entrambe, anche per evitare di annoiarmi».
Il pubblico ha sempre ragione?
«Il pubblico paga un biglietto e ha il diritto di esprimere il suo giudizio. Io lo rispetto sempre. Poi alla fine non c'è una ragione da assegnare a qualcuno, c'è il fatto di condividere un dialogo».
Quanto è importante per lei il lavoro di gruppo?
«Confido molto nel team di artisti che collaborano con me. Mi assumo la completa responsabilità del progetto, ma amo condividerne lo sviluppo, e penso che due o tre teste ragionino meglio di una. E poi, soprattutto all'estero, avere persone che stimo e con cui mi piace condividere il mio tempo, mi aiuta a sentirmi meno solo. La solitudine è un rischio sempre presente nel nostro lavoro».
Maria Paola Masala