Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«La politica era un cruciverba, ora assomiglia a un rebus

Fonte: L'Unione Sarda
4 ottobre 2013


Tormentoni ed enigmistica: il destino delle parole nella civiltà della didascalia

 

Stefano Bartezzaghi questa sera a Tuttestorie

Ci sono delle parole verso le quali nutriamo una certa allergia, che, se pronunciate al primo incontro, pregiudicano il futuro del rapporto. Lo dice uno che con il lessico ci gioca (e ci vive), anche se rispetto agli enigmisti puri si sente un luterano, un eretico. Per quanto nel sangue abbia robuste tracce di cruciverba a schema libero ereditate da suo padre, il grande Piero Bartezzaghi, “il più difficile”, quello a pagina 41 della Settimana Enigmistica, Stefano, scrittore e giornalista si sente anche un po' figlio di Wutki, la rubrica di giochi di parole del mitico Linus. Armato di geniali combinazioni di sillabe, e dei suoi anagrammi custoditi nel suo ultimo libro “Il falò delle novità”, Bartezzaghi sbarca oggi a Cagliari per un doppio appuntamento: un minitour sardo con Éntula, il festival letterario diffuso, e “Tuttestorie” dove stasera (alle 21) al Babbo Parking dell'Exmà, darà ironici consigli per “addomesticare la creatività”. Intanto si divaga.
La stagione politica italiana è un rebus, un enigma o un cruciverba per solutori più che abili?
«Ho pensato a lungo che la politica italiana assomigliasse a un cruciverba dove le parole andavano ciascuna nella sua direzione, verticale o orizzontale, ma entravano nelle caselle giuste, con gli incroci perfetti. Ora mi pare che siamo entrati nella fase del rebus, che invece parla per immagini, alle quali bisogna dare il nome, e spesso una figura può essere ambigua e suggerirne più di uno. Come ci insegna l'antichità, il rebus è un indovinello figurato che ha a che fare con i sogni, con il mondo onirico, con la psicanalisi.
Ha un anagramma per tutto questo?
«Qualcosa è girato sulla crisi di governo, ma non c'è più».
Lei è il padre di “Lessico e nuvole”: che parole ci sono nella nuvoLetta del premier e che suono hanno?
«Indubbiamente la parola più grossa è Governo, ripetuta più volte. Accanto ci sono parolette pratiche e funzionali come certo, dopo, oggi, c'è, senza. Tutt'attorno termini come mesi , stabilità , riforma , fiducia : termine tecnico che porta con sé tutto il carico emozionale. Sono parole che sentiamo ripetere sempre e potrebbe accadere come quel gioco che fanno i bambini: ripetono un termine mille volte, fino a che le sillabe non svaporano, sbiadiscono e non significano più nulla. Non è un male: è la vendetta della parola che si ribella a chi la usa come randello».
In un momento in cui la distanza tra la politica e le persone comuni segna il suo massimo, termini come rottamazione, asfaltare, cool, agibilità politica, punchingball servono a ricostruire il dialogo?
«Una risorsa della politica che si rivolge a molti, a tanti, a tutti è quella di parlare per immagini, di usare un lessico suggestivo. Penso ad asfaltare : Renzi è indubbiamente uno dei grandi produttori di queste immagini. Penso ancora a tutti gli animali entrati a far parte del linguaggio politico: giaguari, falchi, colombe, tigri, allodole, vacche. È un po' come le antiche fiabe, “La cicala e la formica”: se usiamo immagini semplici il mondo ci capisce meglio. Si procede con figure che come i rebus possono essere ambigue, nascondere inganni. Proprio ieri il presidente della Camera Boldrini, nel riprendere i chiassosi deputati, ha detto:  non siamo allo stadio . E in questa parola vedo una vicinanza preoccupante con le conversazioni da bar».
Cioè, attimino, piuttosto che e quant'altro, mettiamoci pure senza se e senza ma. Tormentoni per quattro decenni.
«Luca Goldoni fece addirittura un libro che intitolò “Cioè” e mi fece un certo effetto. Anch'io ho scritto un libro battezzato “Non se ne può più” col rischio che non se ne potesse più di Stefano Bartezzaghi. Ci sono questi modi di dire che diventano tormentoni e alcuni fanno venire l'orticaria. Altri sono addirittura errori come piuttosto che usato in forma disgiuntiva anche se c'è chi vorrebbe accettarlo. Ognuno di noi ha le sue cartine di tornasole anche per le parole: un piuttosto che detto al primo appuntamento non si perdona. Oppure tra colleghi ci diciamo che quello scrive qual è con l'apostrofo o scrive agibilità politica . Ci sono discorsi farciti da non so come dire . Bisogna avere consapevolezza della propria lingua, bisogna saperla sorvegliare».
Nella stagione dei tweet, degli sms che spazio hanno le parole?
«Uno spazio importantissimo. La Bbc ha scoperto che esiste una moda, arrivata già in Italia, di tatuare le parole. Servono a dirci che viviamo nella civiltà delle immagini, della didascalia dove le parole non hanno più un ruolo esclusivo, ma secondario. Forniscono il senso all'immagine. Nei 140 caratteri di Twitter, nell'epoca dell'infografica, termine ormai entrato nell'uso corrente, le parole diventano più visibili».
Un salto indietro a Linus, Wutki.
«Anagraficamente appartiene più ai miei fratelli, ma sono cresciuto con l'enigmistica di mio padre e i giochi con le parole di Linus che ho sentito mie. Il mio mestiere discende un po' da Wutki e sono io che ho ereditato la rubrica da Giampaolo Dossena. Per gli enigmisti classici io sono un luterano, un eretico».
Conosce le parole sarde come eja che significa sì e come ajò che vuol dire andiamo? E soprattutto ci ha mai giocato?
«Sì, ma cerco di non utilizzare i gerghi anche se il romanesco è una tentazione continua, ma resisto. Con la Sardegna ho molti contatti per ragioni familiari e trovo che sia una confederazione linguistica dove si parla ligure, catalano, sardo. Mi è capitato che qualche lettore mi abbia spedito dei bellissimi indovinelli popolari. La Settimana Enigmistica è stata inventata da un sassarese e ancora appartiene alla famiglia».
Stasera sarà a “Tuttestorie”: il tema è la Tana, la casa.
«La casa è il gioco più bello. Essendo un bambino milanese per ragioni meteorologiche ho giocato dentro casa, inventandomene tante altre».
Caterina Pinna