Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

“I Shardana”, alle radici di un mito

Fonte: La Nuova Sardegna
23 settembre 2013

 
Al Comunale di Cagliari la prima dell’opera di Porrino con la regia di Livermore 
 
 
 
 
 



di Gabriele Balloi wCAGLIARI Nel centenario della nascita, quasi quattro anni fa, il Lirico dedicò a Ennio Porrino (sebbene in forma concertistica, senza scene) la riscoperta dell’opera «I Shardana – Gli uomini dei nuraghi». Dramma musicale in tre atti, di gestazione piuttosto lunga, il compositore ne conobbe tuttavia una sola rappresentazione, da lui stesso diretta: la “prima” assoluta del 1959 al San Carlo di Napoli. La rimessa in scena al Massimo di Cagliari avverrà solamente un anno dopo, quando Porrino si è già spento oramai da sei mesi. Da ieri, però, «I Shardana» hanno ripreso vita in una nuova produzione del Teatro Lirico. Un allestimento che permetterà poi di realizzare un dvd, pubblicato dalla Dynamic, con l’opera in edizione integrale. A dirigere l’Orchestra del Lirico è tornato Anthony Bramall, maestro londinese che nel 2009 affrontò la partitura con pregevoli risultati. In effetti, Bramall pare trovarsi a casa nella scrittura porriniana, che ne «I Shardana» sembra più che mai eclettica e affascinante. Attingendo a piene mani da Respighi (di cui fu allievo), da Puccini, Stravinskij, Debussy e Ravel, dallo Schoenberg pre-dodecafonico, nonostante qualche scivolone manieristico, Porrino comunque riesce a ottenere una cifra stilistica interessante e discretamente originale. Immette, come ovvio, vari elementi della musica tradizionale sarda, il tutto però filtrato e distillato con parsimonia, senza cadere mai in un facile, smaccato citazionismo folclorico. Anzi, si potrebbe dire che trasfigura poeticamente la musicalità isolana, lasciandola scorgere il più delle volte soltanto in filigrana, o deformandola per inventare ex novo le sonorità arcaico-tribali di un immaginario protostorico. A firmare l’allestimento, invece, è un ex tenore piemontese, oggi fra i più apprezzati registi operistici della sua generazione: Davide Livermore. Possiamo già dire una delle messinscene più riuscite di questa Stagione lirica. Uno spettacolo che merita d’esser visto per l’impegno creativo, per la capacità d’intrattenere, facendo perdere la cognizione delle due ore trascorse. Livermore sa come tenere viva l’attenzione, optando per uno scenario di stampo quasi cinematografico, ma soprattutto diremmo “polifonico”, dove più azioni avvengono simultaneamente. Tutto ciò utilizzando anche danzatori, mimi, video mapping, riprese in “slow motion” e quant’altro. In questa cangiante, suggestiva e immaginifica cornice si cala, oltre al coro istruito da Marco Faelli, un discreto stuolo di interpreti. Nel primo cast: Angelo Villari (Torbeno), Paoletta Marrocu (Bèrbera Jonia), Manrico Signorini (Gonnario), Alessandra Palomba (Nibatta), Gianpiero Ruggeri (Orzocco), Domenico Balzani (Norace), Gabriele Mangione (Perdu). E, verso la fine, persino un incantevole cameo di Elena Ledda.