Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

L'abbraccio ai poveri e ai detenuti«Carità non è assistenzialismo»

Fonte: L'Unione Sarda
23 settembre 2013


Il monito di Francesco: «Commette peccato chi li strumentalizza»
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di Sergio Naitza
È come se il pesante drappo nero che copre gli invisibili - i detenuti e i poveri - e copre anche le nostre coscienze perbeniste, fosse stato squarciato all'improvviso, liberando la verità del messaggio evangelico: beati gli ultimi. È come se una luce avesse illuminato quella parte di umanità sfortunata ed emarginata, sempre in ombra, restituendole dignità e attenzioni negate.
C'era molta attesa per l'incontro di Papa Francesco con le persone che dalla vita hanno finora avuto solo batoste e ammaccature. Raccolti nel Duomo - i detenuti nella bancata di destra, i poveri in quella di sinistra - hanno atteso con trepidazione il messaggio del Pontefice, cercando nelle sue parole un appiglio per non scoraggiarsi davanti a un futuro dai contorni incerti. E Francesco non li ha delusi: con la semplicità disarmante che ha ormai marchiato il suo pontificato ha ricordato anche a loro di non farsi rubare la speranza, ma soprattutto ha richiamato tutti - «chi ha responsabilità politiche e civili», nonché «i membri della comunità cristiana» - a «sostenere in modo attivo con opere di solidarietà» chi attraversa momenti difficili. E ha puntato il dito contro chi usa i poveri e se ne «riempie la bocca, contro gli arroganti che li strumentalizzano per interesse personale o di gruppo». Distogliendo gli occhi dai fogli che un po' leggeva e un po' no, il Papa con la voce suadente ma ferma del buon padre di famiglia ha detto, guardando fisso l'uditorio: «Questo non va bene. Dico di più: questo è un peccato grave». Parte l'applauso, spontaneo. Una pausa e l'affondo: «Sarebbe meglio che queste persone rimanessero a casa». Nuovo applauso, fragoroso.
Un'ora e mezzo prima dell'incontro il Duomo è già gremito. Come scolaretti diligenti e trepidanti, accompagnati dai loro direttori, dirigenti, assistenti sociali e operatori di volontariato, prendono posto tra i banchi i senza fissa dimora, gli stranieri disoccupati, i barboni, la gente dei dormitori, i rom, le famiglie indigenti, i malati di mente, tutti rappresentanti di quelle “fragilità” che vivono situazioni estreme. Ai quali i centri di accoglienza, le associazioni di volontariato, le suore, la Caritas in particolare danno silenziosa assistenza e salvezza.
Sono 130 e nei loro volti diventati ragnatele di sofferenza e dignità leggi - almeno in questa giornata speciale - la dolcezza della speranza. Pietro Serra da 50 anni è un barbone di strada, ha un curriculum vitae di galera e manicomio, ma non si è mai arreso e dal Papa si sente «abbracciato» ogni volta che parla. Mattia Deligia e Claudia Pisano sono una coppia con 4 figli, un sussidio di 400 euro del Comune per campare. Mattia ha la voglia di mettersi alle spalle il passato di errori e prigione, si avvicina alla fine del discorso al Papa, lo bacia, gli affida due lettere e dice che l'incontro per lui è stato un momento di speranza. Don Marco Lai, responsabile della Caritas e motore di una rete di solidarietà, legge nel messaggio di Francesco «l'aiuto a purificare il concetto di carità, partendo dal cuore». E con lui i poveri che hanno sentito le parole del Papa come «carezze di tenerezza».
Hanno il cuore in subbuglio i 27 detenuti, provenienti da quattro istituti di pena dell'Isola, in permesso speciale. Anche dal carcere minorile di Quartucciu, sotto l'occhio vigile di don Ettore Cannavera, ai quali la sua comunità offre l'opportunità del riscatto. «L'uomo vale al di là del proprio comportamento - ricorda don Ettore - e il carcere è sempre peggiorativo». Il presidente del Cagliari, Massimo Cellino, lo sa: ha scelto di non presenziare tra i vip, ma è lì con gli amici carcerati e i diseredati. In prima fila il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, cortese nel concedersi fuori dal protocollo per una battuta: «La Sardegna è al centro del nostro interesse. Il 41 bis? Non è previsto nell'Isola. Tra due mesi sarà pronto il nuovo carcere di Uta». Che i detenuti, per una sorta di paradosso, stanno costruendo. Dice Claudio Pisano, 3 anni ancora da scontare: «È pur sempre un lavoro, una necessità per avere i permessi». Lui è credente, ha trovato nella fede la forza di andare avanti nelle quattro mura del carcere. E si dichiarano credenti anche Beniamino Zuncheddu e Bruno Acquas, entrambi ergastolani: sono stati scelti dalla direzione del penitenziario per portare in dono al Papa un cesto con formaggi e olio prodotti dai detenuti delle colonie penali di Isili, Maimone e Is Arenas. La consegna avviene alla fine del discorso. Due parole con il Santo Padre. Stretta di mano, scambi di baci. «Un'emozione indescrivibile», dicono. Gli consegnano una lettera, a nome di tutti i detenuti. Dentro c'è anche un appello perché Francesco - «che ha già abolito, motu proprio, l'ergastolo nella Città del Vaticano» dice Acquas - interceda e «apra il cuore» ai nostri parlamentari per cancellarlo dall'ordinamento italiano. Come è scritto nella lettera: «Non è brutta la morte, brutto è vivere la morte».
Il Papa conosce la sofferenza degli ultimi. Monsignor Arrigo Miglio, prima che il Pontefice prenda la parola, sottolinea che «in Sardegna sono tante le povertà presenti e non tutte sempre visibili». E Francesco azzera subito ogni differenza di classe: «Qui tutti abbiamo difficoltà, nessuno qui è meglio dell'altro e tutti siamo uguali davanti a Dio». Parla di umiltà, «che non è moralismo, non è ideologia ma modo di essere e vivere». Parola dopo parola il suo messaggio si fortifica: «La carità non è assistenzialismo ma scelta di vita». Ancora: «Dobbiamo fare opere di misericordia, con tenerezza e umiltà». Andare sulla via della carità, cioè nelle periferie «perché chi è lontano ha bisogno di una cura maggiore». Catechesi didascalica, si dirà. Ma c'è anche l'invito a collaborare, comprendere e perdonare, ciascuno riconoscendo i propri sbagli. Fuori dal tempio chi mercanteggia sui poveri e chi «vuole cancellare dal dizionario la parola solidarietà, perché dà fastidio e obbliga a guardare l'altro con amore». Un discorso “politico”, nel senso di richiamo a un impegno collettivo. Francesco, «povero tra i poveri», come l'ha presentato Miglio, ha lasciato il segno.