Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

La Sardegna mitica e perduta incarnata dai Shardana

Fonte: L'Unione Sarda
20 settembre 2013

L'incontro con Lilliu, i primi lavori con Guastalla, il debutto al San Carlo di Napoli

 

Nell'opera di Ennio Porrino il desiderio dell'identità

 


Quando gli Egizi si scontrarono con gli Ittiti a Qades, gli Sherden erano alleati del faraone. La descrizione proposta dai geroglifici è eloquente: i mercenari venuti dal mare avevano sul capo un elmo con le corna sormontato da un dischetto ed erano armati con lance, spade e uno scudo piccolo e rotondo, così come li vediamo rappresentati nelle celebri statuine bronzee che riproducono guerrieri e sacerdoti, navi e divinità, uomini e animali. Ma, se a tutt'oggi gli storici si dividono sulla storia di quel popolo, stupisce che, alle soglie della seconda Guerra mondiale, un giovane musicista di successo come Ennio Porrino si appassionasse a una vicenda che aveva appena iniziato a fare breccia nelle ricerche archeologiche dell'epoca, grazie agli studi del giovane Giovanni Lilliu.
In realtà, Porrino era sempre stato molto affascinato dal richiamo a una Sardegna mitica e perduta. Nel 1935 pensa al suo primo lavoro di teatro musicale e il suo interlocutore è Claudio Guastalla, all'epoca librettista di Ottorino Respighi (maestro di Porrino), ma già coautore con Grazia Deledda del libretto del «dramma pastorale» “La Grazia”. Alla ricerca di un modello teatrale innovativo, Porrino e Guastalla approntano il progetto di un'opera lirica intitolata “I Re Pastori”, ambientata nella Sardegna nel VII secolo. Poi la collaborazione tra i due prende un'altra direzione, Porrino mette in musica un altro libretto di Guastalla, “Gli Orazi”, ma l'emanazione dei “Provvedimenti per la difesa della razza” del 1938 colpisce il librettista (che era ebreo) e Porrino decide di rimaneggiare da solo “I Re Pastori”.
È il 1939 allorché il compositore, retrodatata la narrazione alla preistoria, abbozza lo schema del libretto e si immerge in un nuovo lavoro teatrale, incentrato sulla vita dei sardi al tempo dei nuraghi, che peraltro conosce ancora pochissimo. Quattro anni dopo Porrino ha quasi concluso l'opera, ma non è soddisfatto del finale, al quale rimette mano a più riprese. Nonostante il lavoro sia completato fin dal 1947, Porrino non riesce a vederlo realizzato fino all'esecuzione di una riduzione radiofonica nel 1956. Qualche anno ancora e l'opera, il 21 marzo 1959, va finalmente in scena al Teatro San Carlo di Napoli con il titolo definitivo de “I Shardana”, diretta dall'autore. Dopo qualche mese il compositore muore improvvisamente e l'opera sarà ripresa a Cagliari nel 1960, diretta da Armando La Rosa Parodi.
L'idea di Porrino di portare sul palcoscenico una Sardegna nuragica potente si traduce in scene estese e dense di articolazioni interne, nell'impiego di pochi personaggi dalle vocalità molto nette, nell'uso di una tavolozza orchestrale di proporzioni massicce. Un altro aspetto dominante dei Shardana è lo sfruttamento di un linguaggio di ispirazione folklorica e di forte valore “barbarico e anticlassico”, come lo definisce Lilliu alla prima napoletana. E non convenzionale è il vigore delle parti corali del dramma, trattate con invenzione moderna e talentuosa, con lucidissimi effetti di colore e di sonorità, specie nella drammatica Trenodia.
Tuttavia, quel che oggi ancora colpisce intensamente lo spettatore è il senso stesso e ultimo de “I Shardana”. Si è spesso scritto che si tratta di un'opera dedicata alla Sardegna, ma dalla trama dell'opera traspaiono anche altri significati ineludibili: l'affermazione del valore della fedeltà alla parola data; il forte desiderio di identità di Porrino in un popolo antico che ama la terra, il mare, la vita semplice, la giustizia, la coerenza e la libertà; ma, soprattutto, un acuto e assoluto desiderio di pace. Questi valori rendono “I Shardana” molto vicina a noi e, per questo, straordinariamente attuale.
Myriam Quaquero


Oggi al Lirico di Cagliari, l'ultima rappresentazione 63 anni fa

Teatro e Regione insieme
per i giovani artisti dell'Isola

“I Shardana”, gli uomini dei nuraghi, debutta stasera alle 20,30 al Lirico di Cagliari in un allestimento grandioso, che unisce qualità della musica e spettacolarità delle scene. Un emozionante kolossal dedicato alla Sardegna delle origini, che ha per regista (e coreografo) Davide Livermore, uno degli artisti più interessanti della sua generazione. È il titolo più atteso della stagione, per il significato che riveste, perché manca dal cartellone da 63 anni, perché è il primo e più significativo momento di un progetto di valorizzazione dei giovani artisti sardi che vede impegnati Teatro e Regione. Le scenografie dell'opera (durata complessiva due ore e 20) sono di GIÒ FORMA production design, al videodesign di D-wok. Le luci sono di Loïc Hamelin, bretone ormai sardo, i costumi di Marco Nateri, cagliaritano trapiantato a Spoleto. Dirige orchestra e coro del Lirico Anthony Bramall, che già tre anni fa propose l'opera, in forma di concerto. Allora, a quell'unica rappresentazione, erano presenti Màlgari e Stefania Porrino. Ci saranno anche stasera, e sarà soprattutto dedicata a loro, e a tutti i sardi, questa grande “festa in casa” del teatro che parla di guerra e pace, amore e morte.
Il cast: Manrico Signorini (20, 24, 27)/Nicolò Ceriani (22, 26, 28) (Gonnario), Angelo Villari (20, 24, 27)/Sebastian Ferrada (22, 26, 28) (Torbeno), Gianpiero Ruggeri (20, 22, 24, 27)/Alessandro Senes (26, 28) (Orzocco), Domenico Balzani (20, 22, 24, 27)/Nicola Ebau (26, 28) (Norace), Paoletta Marrocu (20, 24, 27)/Rossana Cardia (22, 28)/Nila Masala (26) (Bèrbera Jonia), Alessandra Palomba (Nibatta), Gabriele Mangione (20, 22, 24, 27)/Moreno Patteri (26, 28) (Perdu), Nicola Ravarino Guagenti (Un guerriero, Una voce), Enrico Zara (Un altro guerriero, Un pastore sardo, La vedetta), Vittoria Lai (Prima dolorante), Francesca Pierpaoli (Seconda dolorante), Caterina D'Angelo (Terza dolorante). Lo spettacolo prevede anche la partecipazione straordinaria di Elena Ledda, impegnata in un cameo vocale. In scena, protagonisti assoluti, dodici mimi e danzatori.