Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

L'eroe imbranato che chiese:>

Fonte: L'Unione Sarda
19 settembre 2013

Questa sera reading-show dello scrittore cagliaritano alla Vetreria di Pirri

 

Francesco Abate e il suo nuovo “Un posto anche per me”

 


Francesco Abate è un collega con il quale da anni dividiamo il lavoro al giornale. Ma è soprattutto un “compagno di banco” con il quale condividere i segreti della vita. Perché lui li capisce più degli altri, e li sa custodire. Un po' come ha fatto con questo suo nuovo libro, “Un posto anche per me”. Ha coccolato e protetto la delicata e intensa storia del protagonista Peppino, uomo invisibile ai nostri occhi distratti o indifferenti, per restituircela con il suo carico di sorpresa ed emozione. Una specialità per Francesco, diventato così bravo a leggere ciò che gli altri non sanno.
Mi verrebbe quasi da chiamarti Peppino, c'è lui ma un po' anche tu?
«Mi piace molto l'idea. Mi fa piacere, va bene, mi carico del dolore di tutti».
Peppino-Francesco, il tuo nuovo lavoro ha molti punti di contatto con il bellissimo “Chiedo scusa” in cui raccontavi la tua morte, il dolore, e la tua rinascita. Rappresenta in qualche modo una seconda puntata?
«È più giusto dire che è figlio di “Chiedo scusa”, di quello sguardo sul mondo. Anzi, anche questo è figlio dell'ospedale. Quando vivi giornate intere insieme a persone in grande difficoltà, malate, che faticano, non puoi non avere attenzione per chi ti sta accanto. Non li scegli, li incontri e scopri che ciascuno ha una storia che forse non ti sarebbe mai appartenuta e che invece lentamente diventa anche la tua».
Come la Marisa di “Un posto anche per me”, alla quale sono rivolte le parole infinite di Peppino.
«Sì. Diventa tuo ciò che non ti appartiene».
Se in “Chiedo scusa” era facile rintracciarti, tra un groppo in gola e una risata, lo è anche in questo secondo romanzo. È un libro densissimo di umanità, di compassione.
«Giusto, proprio compassione, ma attenzione: non è quel sentimento che potrebbe ferire il prossimo, così vicino allo scherno o alla finta solidarietà. La mia compassione è il com-patire proprio come dice l'etimo della parola, ma nel senso buddista o gandhiano di comprensione totale di una strada difficile ma che al tempo stesso non ci appartiene».
Dolore, solitudine, difficoltà. Io credo che la tua esperienza così speciale ti abbia regalato il raro dono della leggerezza…
«Se rispondo sì, mi autoincenso. Ma voglio provare a spiegare che la leggerezza di cui parli è la leggerezza che io ricevo dagli altri: sono loro le persone “leggere”, i Peppino, goffi all'apparenza, ma lievi come pochi nell'anima. C'è una storia che mi piace raccontare, fine anni Ottanta. Facevo il dj a Linea Notturna, locale cagliaritano alla moda, sotto di me vedevo ragazzi e ragazze, belli e benvestiti, senza pensieri o guai economici. A un certo punto ne è entrato uno completamente “fuori posto” con l'ambiente. Malamente arrangiato nell'abbigliamento, quasi ridicolo. Si è messo in un angolo, torturandosi le dita. L'ho osservato a lungo fino a che, con lentezza, non è andato verso un gruppo di giovani belli e ben vestiti, li ha guardati appena e ha chiesto “posso essere vostro amico?”. In un attimo nella sala è piombato il silenzio più tremendo. Metteva a nudo l'assoluta incapacità di rispondere a una domanda semplice, cristallina, ma totalmente fuori dai canoni. Inattesa. Quell'episodio mi ha sempre fatto pensare. Ecco, Peppino che parla da solo, che vive con se stesso, ha la leggerezza di fare cose che spiazzano ma che a ben pensarci sono vere, sincere, semplici».
Tu scrivi anche per dare voce agli “altri”.
«Penso al mio lavoro di cronista, quando mi sono occupato dei portatori di handicap. Ho fatto un servizio, tra gli altri su ragazzi down che facevano gare col kayak. C'è una ragazzina che ho rivisto più volta e lei mi dice: “lui parla di noi, ci tratta come gli altri”. A me questo piace molto, come giornalista, come uomo e anche come scrittore».
Sarà stato un caso, ma io trovo che ci sia un sincronismo perfetto tra l'uscita del tuo “Un posto anche per me” e la realtà di oggi. Quel mito del perfetto, dell'essere al top ha lasciato spazio ad altre urgenze e ad altri pensieri.
«Dici bene. La crisi che stiamo vivendo porta danni, ma porta anche in superficie la possibilità di rimodularci. Tutti abbiamo commesso quest'errore: eravamo concentrati su noi stessi e mai uno sguardo che si allungasse davvero sugli altri».
Noi, colleghi, compagni di banco, ti abbiamo visto morire, soffrire come un matto, rinascere. Ma nessuno, per quanto profondo possa essere il legame, ha mai veramente capito che cosa vuol dire tornare a vivere grazie a uno sconosciuto.
«Il trapianto non è un atto meccanico che mette in ordine solo quello che non funziona tra i tuoi organi. Ti cambia l'anima. Anzi, ti aiuta a correggerti, ti obbliga a guardarti dentro e a riorganizzare i tuoi pensieri in un modo al quale non avevi mai pensato prima. Quante volte diciamo: se potessi rinascere, farei o non farei… Ecco a me è capitato e mi viene da dire che quello che sono stato prima non mi piace più tanto. Oggi mi sento una persona migliore».
A proposito di doni, questo libro nasce con un regalo che ti ha fatto Valerio Mastandrea, che ha avuto una parte anche in “Chiedo scusa”.
«Era un soggetto per un film che lui avrebbe voluto realizzare ambientandolo al Sud, in Puglia. Il vissuto di Peppino è ricostruito a Cagliari, anche se lui vive a Roma. Sapeva che questa storia mi piaceva moltissimo e me l'ha regalata. Ecco anche questo libro è un'autobiografia di vite vissute di altri».
Il libro di Francesco Abate vola nelle vendite. Ma non è solo pagine che si sfogliano. È un progetto multimediale con un booktrailer, una colonna sonora e uno spettacolo. Tutto molto moderno, ma con un cuore semplice e generoso. Appuntamento alle Vetreria di Pirri (via Italia, 63) questo pomeriggio alle 19. La serata è organizzata dal festival Éntula. In scena ci sarà l'attore Nicola Nocella nei panni di Peppino. Con lui Abate e i musicisti Stefano Guzzetti, Irene Nonis (voce), Matteo Sau (chitarra) e le immagini di Alessandro Toscano.
Caterina Pinna