Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Peter Marcias filma l’ansia

Fonte: La Nuova Sardegna
5 dicembre 2008

VENERDÌ, 05 DICEMBRE 2008

Pagina 37 - Cultura e Spettacoli

Da oggi a Milano, Roma e Cagliari la prima di «Un attimo sospesi», nuovo lavoro del regista



Cinque storie intrecciate tra il passato e il presente




GIANNI OLLA

CAGLIARI. Reduce dal festival di San Paolo, esce oggi tra Roma, Milano e Cagliari (qui nelle sale della Cineworld di viale Monastir e presso la sala dell’Alkestis di via Loru) il nuovo film di Peter Marcias, «Un attimo sospesi». Si tratta del suo secondo lungometraggio a soggetto distribuito su scala nazionale. Il primo, «Ma la Spagna non era cattolica?» era un docu-dramma che mescolava assieme l’urgenza della tematica civile (i diritti civili dei gay) con una “finzionalità” di buon livello. «Un attimo sospesi» è invece completamente “finzionale”: racconta cinque storie intrecciate e talvolta sul punto di sfiorarsi o di entrare in collisione, ambientate nei quartieri romani di Tiburtina vecchia e Prati. I personaggi sono quasi tutti in bilico tra passato (talora traumatico) e presente. Il principale è Achille, reduce da una clinica psichiatrica, che si è rifatto una vita aprendo un negozio di alimentari ed ha con il prossimo contatti fugaci. Poi c’è Lidia, che ha un figlio (di colore) e non più un marito; e quindi Ester, un passato d’artista, che vive in una roulotte tra la costernazione del fratello Rosario.
Infine, il professore (Paolo Bonacelli in un bel cammeo), ex astronomo che vive isolato nella sua casa e non apre la porta a nessuno.
Attorno a loro, un’apocalisse in avvicinamento: voci radiofoniche e immagini televisive ci annunciano attentati, e i grandi della terra preparano una guerra. Nessuno, però, sembra curarsene, a parte il bambino; il quotidiano, il problema di vivere (o il male di vivere) assorbe interamente l’occidente. Incontriamo Peter Marcias, dopo la presentazione del film alla stampa, e la prima domanda che ci viene in mente è il cercare una definizione secca del film, ovvero un tema centrale sul quale ruota tutto il meccanismo d’incastro e di casualità delle cinque vite “scoppiate”, per dirla banalmente.
Ma il giovane regista cagliaritano respinge la definizione: «Troppo sbrigativa. Semmai problematici, emblematici di una condizione esistenziale che ci tocca tutti. Se dovessi dare una definizione, direi che è un film sull’ansia. Un’ansia privata che ci impedisce di vedere la grande ansia che incombe sul mondo. Dentro questa crisi generale, ho scelto, assieme ad Annalisa Aprile, la sceneggiatrice con cui ho lavorato, alcune tipologie, da quella estrema di Achille, a cui è dedicato un maggiore spazio, ad Ettore, il fratello dell’artista che vive nella roulotte: lui vorrebbe che la sorella lasciasse quell’esistenza precaria.
Non ha ambizioni, non cerca neanche la felicità ma piuttosto la pace e il rapporto sereno con il prossimo. In mezzo tre tipologie intellettuali: appunto l’ex cantante, Lidia la fotografa e infine il professore che si è ritirato dal mondo e che forse è l’unico che, pur sembrando misantropo, pensa anche al destino del pianeta».
- Se si dovesse catalogarlo in un genere, che cosa sarebbe, o piuttosto come lo hanno pensato gli autori?
«Una commedia, anche se le tracce comiche si disperdono progressivamente, per poi rientrare con tratti fiabeschi. Forse l’unico vero personaggio da commedia è Ettore, il “buffo” per definizione, anche se non credo ci sia un genere specifico in cui includere il film.
L’idea, come ho già detto, parte semplicemente dal senso di solitudine e di ansia che si respira in giro e si aggancia ad un mio modo di costruire i personaggi, basandomi sull’impressione: osservo alcune figure, magari dei semplici passanti, e immagino le loro storie private, li trasformo in personaggi, cerco delle combinazioni che possano farli incontrare, almeno nella fantasia. Poi cerco gli interpreti. Non nascondo che mi piace Altman e la casualità di certi film di Resnais, compreso l’ultimo, “Cuori”. E, in entrambi, c’è molta commedia e molta tristezza. Ma infine, il personaggio che sento di più è Joe, il bambino che non parla mai, l’unico, però, che pensa a fermare la guerra con un sogno. È stata la scena più difficile e costosa di tutto il film: l’ho realizzata con l’animazione, la mia prima passione cinematografica, che, non a caso, si sposa con il cinema dell’infanzia. Si può dire che “Un attimo sospesi” è molto vicino alle mie esperienze di videomaker: lì i protagonisti erano sempre bambini o adolescenti, più maturi degli adulti».
- Come è stato prodotto il film?
«In totale autonomia. Contributi privati ed una sponsorizzazione sarda dell’Agenzia regionale del lavoro. La distribuzione la stiamo realizzando “porta a porta”, con uscite nelle due capitali (Milano e Roma) e una lunga permanenza a Cagliari. Poi si faranno le copie per le altre città. Tra un anno sarà in dvd».
- Lei vive stabilmente a Roma. Non ha più voglia di fare film in Sardegna?
«Assolutamente si. Abbiamo anche la sceneggiatura e stiamo cercando i finanziamenti. È una storia ambientata a Cagliari negli anni Ottanta. Potrei dire che è un “noir”, dove ci sono traffici di droga ed altri ingredienti di genere, ma in realtà anche qui ci sarà soprattutto l’esplorazione dei personaggi, tra cui alcuni adolescenti. Sarà quindi anche un film sulle periferie degradate e sul disagio giovanile».