Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il testimone del Novecento che fece grande la fotografia

Fonte: L'Unione Sarda
1 dicembre 2008

John Phillips, in un'affascinante mostra all'Exmà la guerra e la pace, Saint-Exupéry a Capo Caccia

Padre gallese, madre americana, tata berbera: l'aveva nel sangue, la vocazione al cosmopolitismo, Jonh Phillips. Fotografo tra i più celebrati al mondo, tanto da essere definito dai posteri “testimone del tempo”, come dimostra la retrospettiva appena inaugurata all'Exmà di Cagliari, un'antologica (visitabile sino al 31 gennaio) organizzata dall'assessorato alla Cultura del Comune di Cagliari in collaborazione alla “Fondazione per la Storia della fotografia Fratelli Alinari” e alla “John and Annamaria Phillips Foundation”.
Centocinquanta immagini, documentate sul catalogo Fratelli Alinari - con testi di Charles-Henri Favrod e Stefano Del Re - in una selezione, a cura dello stesso Favrod e di Andrea Cairone, che illustra illusioni e travolgimenti del Novecento, secolo breve e feroce. Gli scatti che compongono lo spaccato iconografico di “Guerra e Pace” sono stati scelti personalmente da John Phillips, che mai aveva ceduto i negativi ai suoi editori.
Dagli archivi, e dalle successive stampe oggi custodite nella collezione del Musée de l'Elisée di Losanna, viene fuori un'epoca fissata in tutte le sue possibili facce. Da quelle dei potenti a quelle anonime che affollano un quartiere di Gerusalemme, dalla sposa nera dell'Alabama a Stalin, Roosevelt e Churchill alla conferenza di Teheran.
Classe 1914 (dunque quasi coetaneo di Robert Capa), John Phillips aveva esordito come fotografo nel 1936 sulle pagine di “Life”. Il suo primo servizio fu sui lavori del Parlamento britannico e sui suoi rappresentanti, curiosamente ripresi di schiena. Taglio singolare, a suo modo indagatore, che col tempo fece del giovane reporter l'alfiere del fotogiornalismo. Erano gli anni in cui Cecil Beaton si faceva riprendere in costume Regency alle feste campestri di Ashcombe, degli scolari di Eton in colletto duro e cilindro, ma anche dei veterani di guerra mutilati per le strade di Londra. In un bianco e nero dalle luci nitide, la Royal Family con la Regina madre e le sue figlie principesse è inserita in una serie che mescola Inghilterra e Francia, serie interrotta da una bellissima foto di moda incentrata quasi unicamente sulla fine tessitura di un cappello di paglia.
Frequentatore del bel mondo internazionale, Phillips da bambino, grazie alle buone aderenze dei genitori, aveva dimestichezza con Isadora Duncan, Man Ray, Gertrude Stein, André Breton, per fare qualche nome. Non dovette essergli difficile avvicinare Cocò Chanel vestita Chanel, Elsa Schiaparelli nell'atelier, Arturo Toscanini in un bel giardino fiorito. Ma tra le istantanee di quel periodo appare, a spezzare l'armonia di un mondo pacificato, la vetrina di un negozio ebreo a Vienna, con la scritta “Jude”.
È il 1938. Il reporter documenta le svastiche festanti, i fuggitivi dall'invasione tedesca in Polonia, il ghetto di Varsavia. E, a conflitto concluso, la saponificazione dei corpi umani a Danzica. Dopo il rientro a New York, Phillips è inviato di “Life” in America latina e dopo, nel 1943, diviene corrispondente di guerra. Va in Africa del Nord e in Oriente, dove immortala in un ritratto Golda Meir che guarda dritta in macchina, re Farouk e una delle sue novantotto automobili, Tito mentre gioca a scacchi e in compagnia di Krusciov.
Ha anche una parentesi in Sardegna, Mr. Phillips. Ad Alghero, luogo in cui fece un reportage sugli ultimi giorni di Antoine de Saint-Exupéry. Aveva incontrato lo scrittore in Algeria e aveva stretto amicizia con quell'aviatore che i comandanti non volevano far più volare. Cosa che lo rattristava moltissimo, tanto che l'amico americano convinse lo Stato maggiore ad affidargli di nuovo un aereo. Partirono insieme, i due, e si fermarono nella base di Alghero per quasi tre mesi. Da lì, Saint-Exupéry si librò a bordo di un P38F5B n.223, velivolo d'osservazione non armato, per una perlustrazione nella zona della Francia meridionale. Fu abbattuto, pare, da un pilota tedesco grande ammiratore del suo Piccolo Principe .
Phillips, nelle 26 foto in mostra all'Exmà, si sofferma sul casco di cuoio, sulla carlinga e le eliche, sullo sperone di Capo Caccia lontanissimo nel mare. Le cronache dicono che John Phillips abbandonò la professione il giorno in cui contò cinquemila reporter al matrimonio di Grace Kelly e Ranieri di Monaco. Da allora scrisse vari libri, l'ultimo dei quali ha per titolo Free Spirit in a Troubled World . Ovvero, uno spirito libero in un mondo tormentato. Sintesi autobiografica di uomo appassionato, curioso e coraggioso, nonché di un maestro dell'obiettivo.
Appartengono agli anni Sessanta le immagini scattate in Italia, terra natia della sua seconda moglie, Annamaria Borletti, ereditiera milanese, donna bellissima che studiava pittura con Campigli, guidava macchine da corsa e l'idrovolante. Nell'album made in Italy passano Sophia Loren sul set di Vittorio De Sica, Anna Magnani in abito di seta, Monica Vitti con Michelangelo Antonioni, Enzo Ferrari all'autodromo di Monza e Marcello Mastroianni, Luchino Visconti, Mario Soldati...
Poco prima di morire, nel 1996, John Phillips dichiarò con gran soddisfazione: «Oggi ho più di ottant'anni e la fotografia è considerata un'arte giovane. I critici hanno cominciato a scriverne con la stessa serietà che usano per la pittura, la scultura, la letteratura e la musica. Siamo arrivati. Quanto a me, rimango un fotografo e continuo a fare fotografie».
ALESSANDRA MENESINI

01/12/2008