FOTOGRAFIA
Ciò che la fotografia riproduce all’infinito, ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più ripetersi esistenzialmente». Sull’arte della fotografia Roland Barthes aveva idee molto chiare, riassunte in un celebre saggio del 1980, “La camera chiara”. Le parole del semiologo, saggista e critico letterario francese segnano oggi la via per diciassette artisti esordienti, che esporranno le loro opere in occasione della collettiva “All’infinito”, che inaugura sabato alle 18 nella sala Cannoniera del Centro d’arte e cultura Il Ghetto.
VARIETÀ DI CONTENUTI Giacomo Atzori, Sara Carcangiu, Claudio Vittorio Carta, Diana Carta, Monica Cauli, Ignazio Dessì, Martina Farci, Lorena Mameli, Luca Marotto, Francesco Meloni, Alessio Orrù, Giorgia Piras, Roberta Podda, Laura Sergi, Alessandro Serri e Federica Turtas: questi i giovani “seguaci ” di Barthes, che nel suo saggio ammoniva: «Nella fotografia, l’avvenimento non si trasforma mai in altra cosa: essa riconduce sempre il corpus di cui ho bisogno al corpo che io vedo; è il Particolare assoluto, la Contingenza sovrana, spenta e come ottusa, il Tale, in breve la Tyché, l’Occasione, l’Incontro, il Reale nella sua espressione infaticabile». La collettiva “All’infinito” (realizzata da Fine Art Fotografia di Michelangelo Sardo, con la collaborazione del Consorzio Camù, visitabile al Ghetto fino al 30 giugno) arriva alla fine di un percorso di studio, con lo scopo di mettere in rilievo le competenze tecniche acquisite dai diciassette artisti, e l’acquisizione di un linguaggio che sfrutta appieno le potenzialità delle immagini. Il tutto, sul solco degli insegnamenti dell’intellettuale francese, scomparso nel 1980, che distingueva tre elementi fondamentali dell’arte fotografica: “Operator ”, ovvero colui che materialmente realizza lo scatto fotografico; “Spectator ”, lo spettatore- fruitore; “Spectrum”, il soggetto immortalato. «Davanti all’obiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte» , scrive Barthes ne “La camera chiara. I diciassette talenti emergenti hanno affrontato percorsi individuali che, però, non si esauriscono in un unico progetto: la caratteristica di “All’infinito” è, al contrario, a poliedricità e la ricchezza di contenuti e di forme espressive, con l’obiettivo del il recupero di un linguaggio forte in un contesto che - si legge nella presentazione della collettiva -, da una parte, ha reso la fotografia fruibile da chiunque ma, dall’altro, ne ha svilito le caratteristiche più singolari e importanti: quella di forma di espressione artistica prima ancora che di attività tecnica e impegnativa. I lavori dei diciassette fotografi spaziano dagli albori dell’epoca pionieristica all’esame delle più recenti soluzioni tecniche e d’espressione: Roland Barthes, studioso di Avedon, Nadar, Niépce e Mapplethorpe avrebbe senz’altro apprezzato. F. M.