Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Baretti al Poetto, diciotto condanne

Fonte: L'Unione Sarda
5 marzo 2013


TRIBUNALE. Ieri mattina l'attesa sentenza sugli abusi commessi nel litorale, parte dei reati è prescritta

Ai gestori pene tra gli 8 mesi di reclusione e i 30 giorni di arresto

Le violazioni urbanistiche sono ormai tutte prescritte, non però quelle paesaggistiche. Né il tempo trascorso ha cancellato i reati legati all'occupazione del suolo demaniale. Col risultato che il giudice monocratico Massimo Poddighe, al termine di una camera di consiglio durata tre ore, ha condannato ieri mattina i diciotto gestori dei baretti abusivi del Poetto che nel 2011 sono stati demoliti tra mille polemiche e sostituti dalle nuove strutture provvisorie ancora in attesa di essere smontate.
LE CONDANNE I verdetti di colpevolezza, meno pesanti rispetto alle richieste del pm Gaetano Porcu, sono stati letti poco dopo le 13,30, davanti a pochi imputati: otto mesi e dieci giorni di reclusione a Maria Assunta Cabras titolare del Palm Beach, Valter Casula del Calipso, Giovanni Cogoni della Sella del Diavolo, Cinzia Erriu del Corto Maltese, Anna Frongia del Nilo, Luigi Lampis della Dolce Vita e Maurizio Marongiu del Twist; 8 mesi a Piero Marci del Miraggio, Alessandro Murgia dell'Emerson, Luciano Spiga dell'Oasi, Antonio Congera del Capolinea, Maria Giovanna Cossu del Golden Beach, Sandro Angioni (condannato anche a un mese di arresto per le Palmette) e Donata Ledda dello Zen, Pierluigi Atzori dell'Ara Macao, Maurizio Cabras del Fico d'India; un mese di arresto infine per Santina ed Eliseo Carta della Lanterna Rossa, accusati solo dello sconfinamento nel suolo demaniale. A tutti è stata concessa la sospensione condizionale della pena, ma il giudice ha disposto l'obbligo di ripristino dei luoghi e la trasmissione delle sentenze alla Regione e al Comune.
L'ACCUSA Dunque è stata accolta integralmente la ricostruzione del pm Gaetano Porcu, che nella sua articolata requisitoria aveva spiegato che «per oltre vent'anni sulla spiaggia del Poetto l'unica legge vigente è stata quella della giungla». Chi aveva ottenuto nel 1987 le autorizzazioni per mettere in piedi dei chioschi temporanei e di supporto alla balneazione da smontare a fine ottobre, «divenne invece l'utilizzatore unico e senza limiti temporali delle aree demaniali». Al punto che negli anni «tanti baretti furono trasformati in strutture dalle volumetrie di molto superiori al consentito con annessi servizi di ristorazione». Il tutto in piena zona H, dunque strettamente vincolata, in assenza di un piano particolareggiato e «in spregio a quanto stabilito nel Puc». Il magistrato inquirente non aveva poi risparmiato critiche a Comune e Regione, colpevoli di «non aver esercitato alcun controllo e di aver anzi spesso agevolato colpevolmente l'occupazione illegittima del suolo demaniale, come quando agli inizi degli anni Duemila furono rilasciate delle concessioni edilizie sulla base di un semplice regolamento di utilizzo del litorale». I legali della difesa hanno già preannunciato il ricorso in appello.
Massimo Ledda

 


Ad aprile
Resta in piedi
il processo
all'ex sindaco
Emilio Floris
Chiuso il maxi processo (in realtà si è proceduto per fascicoli separati che sono stati però trattati sempre contestualmente) ai gestori dei chioschi, la partita giudiziaria legata agli abusi al Poetto resta ancora aperta. Da definire c'è infatti ancora il capitolo che riguarda le accuse di concorso in abuso d'ufficio e falso ideologico contestate all'ex sindaco Emilio Floris e all'ex segretario generale del Comune Pietro Cadau.
I due compariranno davanti al giudice dell'udienza preliminare il prossimo 18 aprile, dopo che l'appuntamento del 28 febbraio è slittato a causa dell'impedimento di uno dei difensori. Al centro della vicenda ci sono le ordinanze con cui il 14 maggio di due anni fa, alla vigilia delle elezioni comunali poi vinte da Massimo Zedda, l'allora sindaco Floris aveva ordinato la sospensione sino al 30 settembre della demolizione dei baretti abusivi, giustificando il tutto con l'esistenza di gravi problemi di sicurezza. Stando al pm Gaetano Porcu, lo stesso che ha condotto l'inchiesta sui chioschi abusivi, l'adozione delle ordinanze si basava però «sul falso presupposto di una situazione di grave criticità» e procurò «un ingiusto vantaggio patrimoniale ai gestori dei 12 chioschi» che proseguirono l'attività per tutta l'estate.
Inoltre l'ex sindaco Floris, difeso dall'avvocato Rita Dedola, e l'ex funzionario comunale Cadau, tutelato da Michele Schirò, avrebbero «falsamente attestato» che tutti i partecipanti alla conferenza di servizi del 18 aprile avevano convenuto di sospendere le demolizioni, mentre in realtà «erano semplicemente stati richiesti dei pareri tecnici». ( m. le. )

 


GLI AVVOCATI. I commenti
«Imprenditori
non speculatori,
faremo appello»

Se lo aspettavano, ma avevano sperato di aver insinuato nel giudice il tarlo del dubbio. Invece non è accaduto e di fronte alle condanne di ieri gli avvocati difensori dei gestori dei baretti - Matteo Pinna, Massimiliano Ravenna, Pilar Sanjust e Giovanni Foddis - reagiscono con freddezza preparandosi già alla battaglia in appello.
«La risposta giudiziaria - spiega l'avvocato Pinna, che tutelava undici dei diciotto imputati - resta probabilmente la meno adatta a classificare una storia come quella dei chioschi del Poetto. Anche le vicende degli ultimi tempi dimostrano che non abbiamo certo a che fare con spregiudicati speculatori immobiliari, ma con piccoli imprenditori che hanno il più delle volte subito, più che giovarsene, le incertezze e le lacune normative, le complessità burocratiche, e soprattutto una politica dalla quale in molti si aspettavano risposte diverse e più rapide». Chiaro il messaggio: la situazione di illegalità che si è venuta a creare in vent'anni di soluzioni tampone non è certo colpa di chi ha cercato di fare impresa, ma delle autorità che non sono mai riuscite a stabilire regole chiare e certe. Poi l'avvocato Pinna spende due parole anche sulla vicenda processuale, conclusasi appunto con la condanna di tutti i gestori anche se a pene meno pesanti di quelle sollecitate dalla pubblica accusa. «Prendiamo atto - dice il legale - che il Tribunale, nel dichiarare prescritti tutti i reati urbanistici, ha probabilmente condiviso le nostre osservazioni sulla effettiva datazione degli interventi. Sulle violazioni paesaggistiche abbiamo un'idea diversa, nel senso che pressoché tutti gli interventi contestati erano di entità scarsamente significativa - in alcuni casi addirittura irrisoria - e comunque sempre di segno migliorativo, certo non sufficienti ad incidere sull'integrità del paesaggio. Per questo, pur attendendo di conoscere nel dettaglio le motivazioni, presenteremo sicuramente appello». Lì si giocherà una nuova partita. ( m. le. )