Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Finanziamenti allo spettacolo La Cgil boccia le nuove regole

Fonte: L'Unione Sarda
21 febbraio 2013


Il sindacato: c'è un deficit di democrazia quando si decide escludendo alcuni

Costa a Milia: «Un buon amministratore ascolta tutti»

Dopo le 65 associazioni che hanno sottoscritto l'appello di Cosass, i sindaci di Cagliari, Sassari, Nuoro e Oristano, il presidente della Provincia di Carbonia-Iglesias, l'assessore alla Cultura della provincia di Cagliari Francesco Siciliano e il consigliere provinciale Rita Corda, ora è la Cgil a bocciare la delibera di Sergio Milia sui finanziamenti agli spettacoli.
A fine gennaio l'assessore regionale aveva modificato la “premialità”, cioè la scala di valori in base alla quale si decide se - e quanto - sostenere chi organizza gli spettacoli. La nuova versione premia molto di più chi crea lavoro stabile, cioè chi ha il maggior numero di buste paga a carico. Un'idea che l'Agis ha approvato pubblicamente ma molti altri trovano terrorizzante, perché sostenendo chi ha una dimensione aziendale più robusta si penalizza, e in molti casi si fa morire, chi lavora in territori più poveri, o chi fa sperimentazione, o chi semplicemente non può permettersi molte assunzioni. Ieri è intervenuto Enzo Costa, segretario regionale della Cgil, chiedendo anche lui una pausa di riflessione sulla riforma.
Costa, che cosa c'entra la Cgil con i fondi agli spettacoli?
«Intanto c'entra perché la Cgil è un sindacato generale, ben consapevole che che la cultura favorisce la crescita sociale. E poi gli uomini di spettacolo sono lavoratori anche loro. Per questo abbiamo titolo a dire la nostra sulla delibera».
E qual è la vostra?
«Diciamo quel che abbiamo sempre detto: chi gestisce risorse pubbliche lo deve fare con una governance inclusiva, non con scelte che escludono alcuni destinatari. Ogni volta che questo ciclo di ascolto si interrompe e si creano spaccature, c'è un deficit di democrazia».
Obiezione facile: ecco il solito sindacato corporativo che vuole determinare le scelte senza averne la responsabilità.
«Secondo me è più corporativo un assessore che ascolta solo un pezzo del settore e poi decide. Quando si sbaglia, se lo si fa in buona fede e si vede che dalla scelta nasce una polemica come questa, un amministratore intelligente si ferma e ricomincia da capo. Anche perché sta distribuendo risorse pubbliche, non spende di tasca sua. Mi rendo conto che è più difficile fermarsi che proseguire, ci vuole una maggiore capacità amministrativa, ma facciamo attenzione: fermarsi non significa ammettere un errore, ma voler ascoltare la gente. Chi si ferma e ascolta è un autentico innovatore. Se procede testardamente e cancella la voce dei dissenzienti, allora siamo al preoccupante deficit di democrazia di cui parlavo».
Come fa un sindacato a contestare una riforma che premia il lavoro stabile?
«Lascio ai tecnici il compito di indicare la forma migliore di premialità, di certo l'innovazione introdotta dall'assessore regionale premia le strutture più organizzate e danneggia le più piccole. Se aiuta a lavorare le formazioni che esistono già, impedisce di emergere a ciò che arriva. Servirebbe una via mediana, una premialità per chi dà lavoro senza impedire a chi è piccolo di farsi avanti. Altrimenti significa che si ascolta la lobby di chi già esiste impedendo a chiunque altro di farsi avanti. E poi francamente si può obiettare sul momento in cui avviene la grande innovazione: scatta con l'assessore Milia praticamente dimissionario, perché quando ci si candida a fare altro prassi di correttezza vorrebbe che ci si limitasse all'ordinaria amministrazione. Altrimenti sorge il dubbio che quanto si fa sia dettato da esigenze di campagna elettorale. L'assessore ascolti un consiglio: ascolti le ragioni di tutte le parti interessate. Se lo farà, potrà trovare una via che renda accettabile a tutti la riforma, perché i veri riformatori prima di agire ascoltano sempre la gente. E lo fanno in particolare quando si parla di incentivi pubblici, a maggior ragione se a sostegno di un settore come lo spettacolo: noi tutti sappiamo quanto la cultura abbia necessità dell'intervento pubblico se vuole continuare a esprimersi. Questo vale per lo spettacolo come per un giornale o per una casa editrice. Stiamo parlando di un mondo complesso, non semplificabile: la garanzia dei posti di lavoro stabili può apparire un elemento accattivante, ma non può essere l'unico da considerare».
Celestino Tabasso