Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

In comunità 300 bambini

Fonte: L'Unione Sarda
21 febbraio 2013


LO STUDIO. Maltrattamenti e povertà le cause principali degli allontanamenti

Ecco perché vengono strappati alle loro famiglie

Sono in aumento (oggi sono 272) i bambini che ogni anno vengono affidati alle 21 comunità alloggio o case famiglia per minori della Provincia (otto in città), gran parte delle quali private e gestite da ordini religiosi.
È quanto emerge dal Plus, il Piano locale unitario dei servizi alla persona del Comune di Cagliari e da uno studio effettuato dalla Provincia. Il dato è interessante se letto alla luce di ciò che è accaduto martedì, quando un tunisino si è dato fuoco in un'aula del tribunale dei minori, estremo gesto di protesta dopo aver perso la patria potestà dei tre figli di 12, 11 e 9 anni. Significa che per quanto sia chiaro che l'affidamento, e successivamente l'eventuale adozione, siano considerati l' extrema ratio dai magistrati che si occupano della delicatissima materia, il ricorso a questi provvedimenti non è raro.
CAUSE DELL'ALLONTANAMENTO Ma quali sono le ragioni dell'allontanamento dalle famiglie? Secondo lo studio, nel 23,4% dei casi i bambini vengono allontanati a causa di maltrattamenti o incuria o perché la famiglia ha problemi economici (21,4%), perché trovati in stato di abbandono (nel 13,1%), per problemi di condotta dei genitori (12,4%), per problemi di relazione con la famiglia (6,9%), problemi di salute dei genitori (6,9%), perché hanno commesso reati (5,5%), hanno subito violenze sessuali (4,8%), perché i genitori hanno problemi con la giustizia (2,8%) o perché sono orfani di uno o di entrambi i genitori (1,4%).
Secondo una ricerca realizzata nel 2009 dalla provincia di Cagliari, dei minori ospitati nelle comunità alloggio i maschi risultano in netta prevalenza (59,3%) così come i giovani della fascia di età 14-17 anni che rappresentano il 41,4% del totale. Sette su dieci sono ospiti delle comunità da più di un anno.
I COSTI PER IL COMUNE Per la maggior parte di loro non esiste un progetto di affido in famiglia e questo è al centro di discussioni e polemiche. Anche perché non si comprende per quale ragione le casse comunali debbano sostenere un costo che varia tra 3000 e 4500 euro al mese per mantenere un minore in una struttura pubblica anziché dare un contributo mensile di 500 euro a una famiglia. Considerato il numero di inserimenti in strutture nella sola città di Cagliari, il Comune potrebbe risparmiare circa 150 mila euro all'anno da destinare ai servizi sociali.
IL BUSINESS Un problema. Anche perché, secondo il Plus, il numero di inserimenti in comunità disposti dall'amministrazione civica è destinato ad aumentare ulteriormente. I maligni azzardano che quello delle comunità alloggio sia un vero business, visto che il costo giornaliero di un minore in comunità varia da 80 a 150 euro al giorno e consente di mantenere in piedi strutture e numerosi posti di lavoro. Ma è l'interpretazione più cinica.
Ma perché il Comune ritiene più semplice l'inserimento in casa famiglia all'affido familiare? Secondo alcuni operatori la ragione consisterebbe nel fatto che quando un bambino viene inserito in casa famiglia negli assistenti sociali può scattare quello che gli esperti chiamano «meccanismo della delega»: l'assistente sociale si sente liberata di un peso e da quel momento è la casa famiglia che deve provvedere al bambino. Dunque l'assistente (quelli di Cagliari sono considerati eccellenti ma pochi per fronteggiare tutte le emergenze) può dedicarsi anche ad altro. Nel caso di un affido familiare, invece, l'assistente sociale deve sostenere la famiglia d'origine e nel frattempo anche seguire la famiglia affidataria. Un lavoro più complesso, impegnativo, difficile. Sul quale il tribunale dei minori vigila con attenzione.
Fabio Manca


Il procuratore
Angioni:
«Controlli
più rigidi»
«Quell'uomo poteva incendiare tutto il palazzo e causare danni alle persone. Per questo ho dato immediatamente disposizione che in tutti i Tribunali i controlli di sicurezza siano ancora più rigidi e che in ogni caso non sia consentito introdurre liquidi dall'esterno».
Questa la presa di posizione del procuratore generale della Corte d'appello di Cagliari Ettore Angioni, profondamente turbato («prendere certe decisioni è sempre doloroso») dal caso del padre tunisino che si è dato fuoco all'interno del tribunale dei minorenni dopo che gli sono stati tolti i tre figli.
«Ho parlato con il procuratore dei minori Anna Cao - ha spiegato ieri Angioni - e mi ha detto, ancora turbata per l'accaduto, che quell'uomo entrato con la bottiglietta piena di benzina, prima di mettere in atto il suo gesto si è spostato per l'aula e poi in un corridoio. Una situazione che ha messo a repentaglio la sicurezza non solo dei luoghi ma anche di tante persone, dai giudici al personale agli utenti». Da qui la decisione di imporre controlli più rigidi all'ingresso dei palazzi di giustizia, anche perché secondo il procuratore generale «quando si verificano questi episodi è sempre molto alto il rischio di emulazione». «Inoltre - ha concluso Angioni - ho chiesto ai carabinieri un dettagliato rapporto di quando accaduto».