Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Al supermercato dei poveri

Fonte: L'Unione Sarda
21 gennaio 2013


L'attesa comincia alle tre di notte per avere pasta, olio, legumi, vestiti, scarpe

L'esercito dei disperati fa la “spesa” nel centro di via Po
L'attesa inizia presto, alle tre del mattino, quando il cielo è nero e le inferriate grigie sono ancora chiuse. Si spalancano alle 8 e trenta. Qualche metro e si entra in un corridoio. Sedie bianche, di plastica, e un numerino in mano, per aspettare pazientemente il turno che regala un filo di colore alla giornata da disperati. È la sala d'attesa dell'esercito dei poveri, che il lunedì e il giovedì prendono d'assalto il centro diocesano di assistenza, in via Po. Mille metri quadri in tutto, o forse poco più. All'interno c'è di tutto. Persino gli abiti da sposa. Gli scaffali di ferro ai lati delle pareti sono zeppi di roba. Giacche e pantaloni, maglioni e camicie. Tutto è diviso per stagione. Perché la povertà non si ferma davanti al freddo pungente e neanche al caldo torrido. C'è il reparto donna, quello uomo, l'area bambino. E anche lo spazio per i neonati, con corredini, tutine, panni e scarpine più piccole di un pugno chiuso. Un tendone nasconde i giocattoli. Orsacchiotti, bambole di pezza e costruzioni colorate.
L'ESERCITO DEI DISPERATI Il labirinto della carità nello spazio che un tempo ospitava il mercato civico si articola per stanzoni, fatti di grucce e scatoloni. Un edificio freddo e grigio, dentro un alterno miscuglio di lacrime trattenute a stento e sguardi dignitosi di chi la povertà cerca di prenderla di petto. Nelle tasche ci sono solo i sogni. Di riscatto. I poveri di ieri, di oggi e forse anche di domani spesso si confondono tra la gente comune. Al supermercato della disperazione le maschere si frantumano. «Ci occupiamo di oltre cinquemila nuclei familiari», racconta Anna Luciani, 82 anni, da trentatré direttrice del Centro, oltreché fondatrice. Ma il numero è in crescita. «Ogni settimana si aggiungono sette, otto famiglie». Cinquemila volti, e altrettante storie differenti. Nomi diversi e una condanna pesante: la povertà.
TUTTO REGISTRATO La disperazione in via Po viene messa nero su bianco. Tutti i visitatori sono schedati. Per poter ricevere la busta con la spesa serve un modulo compilato e serve la registrazione dei documenti. La trafila è identica per tutti: stato di famiglia rilasciato dal Comune, scheda anagrafica dell'ufficio di collocamento, ricevuta di affitto, di pensione e Cud, o foglio Isee. E poi la lettera del parroco che attesti lo stato di necessità della famiglia e il permesso di soggiorno.
I poveri fanno la fila per ore, cercando di sparire dentro il collo consunto del cappotto all'apparenza buono. Poi l'altoparlante li chiama per numero, prendono la busta. Dentro ci sono 5 chili di pasta e altrettanti di riso, un pacco di zucchero e uno di caffè. E poi un litro di olio di semi, cinque di latte e un pacco di biscotti, due barattoli di legumi, due di pelati e dieci marmellate monodose. Poi vanno via in fretta, cercando di confondersi tra la gente comune. La “spesa” dovrà bastare per un mese. È la giostra della vita, la ruota della fortuna che talvolta s'inceppa. Anche in viale Merello, nella sede storica della Croce Rossa, ogni giorno c'è la fila. «Assistiamo 4100 bisognosi», spiega Salvatore Floris, commissario provinciale. «Nell'ultimo anno il numero è cresciuto del 30 per cento». La scena è identica, un serpentone di indigenti in attesa di abbigliamento, coperte, alimentari, medicine, giocatoli e pannolini per bambini.
Sara Marci

 


La Croce Rossa: tra i quartieri stanno peggio Sant'Elia, San Michele e Is Mirrionis
«In tanti non ce la fanno»
Follesa (L'Aquilone): la crisi colpisce anche gli ex benestanti

Ci sono i poveri di ieri, che la ricchezza non l'hanno mai conosciuta, e quelli di oggi con un passato da ex benestanti, un lavoro, una famiglia, una casa. Quelli che all'improvviso si ritrovano a terra per colpa di una crisi senza precedenti. Bussano ai centri di assistenza e alle parrocchie chiedendo un pacco di pasta o un cappotto. Le storie di disperazione a Cagliari ormai non si contano più. «Prima erano soprattutto single e vecchietti, adesso si rivolgono a noi intere famiglie», racconta don Carlo Follesa, parroco di Massimiliano Kolbe e presidente dell'associazione L'Aquilone. «Il numero di chi si rivolge a noi è aumentato in modo pazzesco, ci chiedono soprattutto beni di prima necessità, pasta, zucchero, olio».
La povertà si spalma tra i quartieri con ordine preciso: «Sant'Elia è il clou», rivela Mamy Tomassini Barbarossa, responsabile provinciale della Croce Rossa. «Poi ci sono San Michele e Is Mirrionis». E i dati della Caritas confermano. Storie di vita andate diversamente da come si sperava. «Avevo un amico che faceva il capo zona per una grossa azienda, poi il lavoro è andato male, lo hanno licenziato e me lo sono ritrovato qui, in fila per la busta della spesa», racconta Raffaele Pusceddu, volontario della Caritas. «Cresce il numero dei padri separati», rivela la Barbarossa. «Devono mantenere moglie e figli, cercano di sopravvivere con poche centinaia di euro. Si uniscono e vanno a vivere in stanze in affitto. Per mangiare si rivolgono a noi». Tra l'esercito degli indigenti tanti, tantissimi bambini. «Il numero è in continua crescita. Seguiamo 800 bambini, 500 sono cagliaritani, 300 extracomunitari». Segno che la povertà non guarda in faccia nessuno.
Sa. Ma.

 


Il Comune
L'assessore
Orrù:
seguiamo
1400 famiglie
Gli scenari sono neri. «Seguiamo ogni mese 1500 famiglie», rivela Susanna Orrù, assessore comunale alle Politiche Sociali. Gli aiuti sono di diverso tipo: dalle integrazioni al reddito, pagamento affitti, rate scadute e utenze varie. E i numeri sono in aumento. «Negli ultimi anni le richieste ai Servizi sociali sono cresciute tantissimo. Il 2012 è stato drammatico». Vittime della povertà tanti giovanissimi. «Abbiamo ottanta minori in comunità alloggio, altri quarantaquattro in spazi famiglia». E poi c'è chi un tempo stava bene: «Assistiamo a un costante avvicinamento di persone un tempo benestanti, e tanti padri e madri separati. Le richieste d'aiuto arrivano soprattutto da Sant'Elia, San Michele e Is Mirrionis, da sempre i quartieri più problematici. Ci sono famiglie di cui ci occupiamo da anni, in cui la povertà sembra tramandarsi da padre in figlio». La situazione è grigia, ma non manca il messaggio di speranza: «Mi auguro che ci sia presto un'inversione di tendenza. Il Comune cerca di fare il possibile, ma da solo non può più di tanto. Servirebbe un intervento regionale e nazionale. È necessario investire di più in opportunità di lavoro con politiche ad hoc». (Sa.Ma.)