Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Fidelio, dell'amore e della libertà

Fonte: L'Unione Sarda
28 novembre 2012


Il regista Marco Carniti spiega la modernità dell'opera di Beethoven, venerdì a Cagliari

Lirico: storia a lieto fine ma anche grande metafora dell'oggi

Ci voleva un dramma avventuroso a lieto fine, per l'ultimo titolo operistico in programma nella stagione del Lirico di Cagliari, prima del balletto di metà dicembre che propone “La Bella Addormentata”. Ci voleva “Fidelio”, unica opera lirica di Beethoven, esempio altissimo di quelle pièces à sauvetage, così in uso tra Settecento e Ottocento, a dirci che siamo tutti fragili e incarcerati (ciascuno nelle sue prigioni).
Andata per la prima volta in scena alla fine del 1805, quando il compositore tedesco non aveva ancora compiuto 35 anni, esordirà venerdì alle 20,30 nel teatro di via Santa Alenixedda. Sostituirà un'altra opera tedesca, la “Salome” di Richard Strauss, musicata cento anni più tardi, saltata (col rammarico di molti abbonati) per motivi economici: più costosa di “Fidelio” (l'allestimento era del Comunale di Bologna), e soprattutto senza coro.
Ed ecco allora che la scelta di chi regge il teatro in questi mesi di transizione e di crisi (su tutti il maestro del coro Marco Faelli, consulente artistico) è caduta su un titolo che qualche anno fa aprì con successo la stagione della Scala ma è assai poco conosciuto dal pubblico cagliaritano: una sola la rappresentazione, nel lontano 1955. Agli spettatori il giudizio sull'esito finale.
Certamente, non può non colpire la valenza simbolica dell'operazione, rappresentata da una vicenda che è l'esaltazione della fragilità dell'uomo, ma anche della sua capacità di riscattarsi trovando in sé le risorse. Chi aspettava “Salome” si consoli. Qui non c'è spargimento di sangue, ma la liberazione del prigioniero politico ingiustamente recluso, e con lui di tutti gli altri.
“Fidelio, oder die eheliche Liebe” (o dell'amore coniugale) è il titolo completo dell'opera. E in effetti di amore coniugale si tratta, con Leonora che si traveste da uomo (Fidelio), per entrare come inserviente nelle prigioni di Don Pizarro, e liberare il suo Florestan, prigioniero politico. L'arrivo di un deus ex machina, Don Fernando, porterà alla liberazione generale e alla condanna del dittatore.
Una storia forte, e di grande attualità, dove l'amore e la fedeltà passano in secondo piano e a dar senso a tutto è l'esaltazione della dignità dell'uomo, della sua sete di giustizia e di libertà: lo ha detto bene Marco Faelli ieri sera, nel presentare l'opera agli affezionati del teatro. Bene lo dice Marco Carniti, regista di questo allestimento nato in casa in appena due mesi. Una sfida, per lui, al suo primo “Fidelio”, una sfida per Sabrina Cuccu, che firma la scenografia e per Beniamino Fadda, autore dei costumi. Il disegno luci è di Fabio Rossi, i video sono di Nick Arjolas e di Frederich Amat. Assistente alla regia Adamo Lorenzetti.
Sul podio il direttore austriaco Christoph Campestrini. Maestro del coro è Marco Faelli. Racconta Carniti, così a suo agio nelle regie di testi che raccontano l'impotenza dell'uomo e la sua sete di riscatto: «Viviamo in un mondo in cui le prigioni sono sempre più sovraffollate e il senso di giustizia sempre più confuso. Credo che fare “Fidelio” oggi sia una scommessa politica, e che il modo corretto per affrontare lo spirito di Beethoven sia uscire da ambientazioni ben precise, e puntare sul suo discorso profondamente filosofico: dove la dignità, l'anelito alla giustizia e alla libertà si mischiano con l'ideale dell'amore. Oggi questo è un tema talmente all'ordine del giorno che non puoi non affrontarlo in un certo modo».
Lui ha scelto l'astrazione, la ricerca di un qualcosa di più contemporaneo. «Il profumo dello spettacolo avrà nelle immagini e nei costumi un qualcosa che ci riporta alla modernità. Sarà un'opera che parte dalla quotidianità per aprirsi a un respiro poetico e musicale molto vicino alla vena sinfonica di Beethoven». Per questo, aggiunge il regista milanese, alla sua prima regia cagliaritana dopo un “Andrea Chénier” e un'“Aida” come assistente, non ha senso cercare un “Fidelio” realistico, l'azione è più breve dei tempi della musica: vera protagonista è l'orchestra». Il Beethoven del “Fidelio”, insomma, non tradisce se stesso.
Maria Paola Masala