Il ricordo. Il ruolo della brigata tutta sarda nel conflitto mondiale, pagò il più alto tributo di morti rispetto alla popolazione dell'isola
Alla vittoria nella Grande Guerra è legato il ricordo di tanti sardi che combatterono nella Brigata Sassari, l'unica unità dell'esercito regio costituita su base regionale nel 1915. Non c'è paese nell'isola che non abbia una strada o una piazza intitolata a un eroico sassarino o alle battaglie che videro protagonisti i "Diavoli Rossi". Basta osservare le lapidi negli angoli più vecchi dei cimiteri per scoprire dieci, venti militari caduti nel '15-'18. Le date della morte ricordano le battaglie sul Carso Isontino (1915), sull'Altopiano dei Sette Comuni (1916-17) e della Bainsizza (1917), Caporetto, i Tre Monti (1918) e il fronte del Piave. Sono giovani per lo più tra i 20 e 28 anni, in gran parte soldati semplici o sottufficiali. Di molti le lapidi conservano la foto: hanno i baffi, facce dure da contadini, mostrano un'età ben maggiore. A Senorbì tutto ricorda il generale Carlo Sanna, il famoso "babbu mannu" comandante della 33ma Divisione e quindi della Brigata Sassari durante le battaglie dei Tre Monti e di Vittorio Veneto. Una strada, il museo, associazioni sono intitolate al celebre compaesano nato a Cagliari da una famiglia di Senorbì. A Quartu la centralissima via dello shopping e una scuola sono dedicate al capitano Eligio Porcu, medaglia d'oro alla memoria: nel 1917, ferito alle gambe sul Montello, si tolse la vita per non cadere nelle mani dei nemici.
Il medagliere della Brigata è appesantito dalle medaglie, segno di gloria, ma anche di morte: quattro d'oro (la quinta è recente, riguarda l'impegno in Iraq nel 2003-04) conferite alla bandiera di ciascuno dei due reggimenti, il 151mo di Cagliari e il 152mo di Sassari. Numerose le decorazioni individuali: nove medaglie d'oro, 405 d'argento, 551 di bronzo. Tra i sassarini che furono in prima linea e che nel dopoguerra ebbero un ruolo politico importante nel nascente partito sardista Camillo Bellieni che combattè nella trincea delle Frasche ed Emilio Lussu, eroico capitano nell'altipiano di Asiago, mentre il sindacalista socialista nuorese Attilio Deffenu rimase ucciso nel giugno del 1918.
Ogni volta che si parla della Grande Guerra inevitabilmente il discorso cade sui Diavoli Rossi. «I ripetuti riferimenti alla partecipazione dei sardi alla Prima Guerra mondiale ha ragione di essere per diverse ragioni» spiega il generale Giuseppe Sabatelli, ex comandante della Brigata: «Intanto perché non c'è famiglia in Sardegna che non abbia avuto almeno un familiare nella Sassari. E poi perché il conflitto è costato lutti e desolazione di maggiore portata rispetto alle altre regioni italiane». Il generale cita alcuni numeri: in quegli anni l'isola contava 800 mila abitanti e circa 100 mila giovani (un ottavo dell'intera popolazione) fu chiamato alle armi. Alla fine i caduti sardi furono 13.607, pari a 138 morti ogni mille richiamati, una percentuale di gran lunga superiore alla media nazionale (104 morti). Non tutti i sardi combatterono nella Sassari, ma fu l'unica brigata costituita interamente da soldati provenienti dalla stessa regione. «La maggior parte di quei giovani parlava solo il dialetto e non era mai uscita dall'isola» ricorda il ricercatore di storia militare Alberto Monteverde: «Erano uomini rudi, instancabili e coraggiosi, soprattutto pastori e contadini, abituati alle dure condizioni della campagna e anche ad usare il coltello». Feroci come può essere un combattente nell'attacco all'arma bianca, fedeli al loro comandante e pronti a morire per un ideale di una patria che sino ad allora aveva fatto poco (o niente) per la Sardegna. Da qui il mito dei Diavoli Rossi che ha sconfitto anche i progetti dello Stato Maggiore pronto a cancellare la brigata sarda nell'ambito della riforma dell'esercito.
C. F.
04/11/2008