SENEGALESI. Gadiaga spiega le prime tensioni e la via della convivenza
Liti: «Abbiamo una forte colpa. L'altra è vostra»
C'è un giovane, alto e atletico. Si chiama Ahmadou Gadiaga, è nato nel 1976 a Dakar. Ha un lavoro. È un operaio lavagista della Secauto, 1.050 euro al mese. È di religione mussulmana. E dice che l'Islam è rispetto e comprensione. Ha una moglie, Atou Diaw, 31 anni, e un figlio di un anno, Papa Salion. Vivono tutti insieme a Sestu. Ma è Cagliari il centro della loro vita e della loro associazione. Si chiama Yakaar, vuol dire speranza, rappresenta e raccoglie intorno a sé la giovane generazione di immigrati senegalesi, i figli di chi giunse qui all'inizio degli anni Ottanta. Amadù, come lo chiamano gli amici sardi durante le sfide di pallone, è forse la persona più adatta per raccontare, in vista delle elezioni della Consulta degli stranieri (15 novembre), l'evoluzione di una comunità emigrata. La pacatezza dei padri, lo sgomitare di alcuni figli. La quieta convivenza e i primi episodi di crepe e screzi, botte e denunce, soprattutto quando di mezzo c'è un parcheggio e un eventuale obolo da pagare.
Ma i senegalesi sono cambiati , dice una parte di città. No, siamo peggiorati noi cagliaritani , dice un'altra. Ed ecco Ahmadou che fornisce un'analisi così cristallina da essere commovente per onestà e dignità.
«Ci avete conosciuto e ci avete valutato come un bravo popolo. E sapete perché?»
Perché?
«Perché i nostri padri che sono venuti qui da soli lasciando le famiglie nel Senegal avevano un unico scopo: andare sul sicuro, rigare dritto, mai finire nei guai e lavorare sodo per mandare tutti i soldi a casa».
Ha dunque chiaro che ora invece qualcosa si è incrinato in quel rapporto idilliaco fra cagliaritani e senegalesi?
«Certo, gli ultimi episodi di liti e intolleranze lo dicono chiaramente».
Di chi è la colpa?
«Nostra. Non possiamo portare i nostri figli in Italia e buttarli in un parcheggio. Se li stiamo togliendo all'Africa è per dargli un'opportunità non per fargli fare i posteggiatori abusivi. Quei ragazzi, come molti adolescenti, hanno poi la sfrontatezza dell'età. Hanno 17 anni, si credono uomini e lo vogliono dimostrare alla prima occasione. Se un autista maleducato ed esausto li manda a quel paese, Basta siete troppi tornate a casa! , non fanno come i nostri padri, bofonchiavano e andavano via, ma reagiscono anche in maniera spropositata e ragionano come tutti i ragazzi della loro età, bianchi o neri, secondo regole di branco».
E noi non abbiamo colpe?
«Be' sì, quando siete arroganti vi qualificate da soli, ma i cagliaritani in genere sono tolleranti e pacifici. Però avete colpa non tanto quando rispondete male a uno dei nostri ragazzini ai parcheggi, quanto perché avete fatto una normativa che permette a noi di portare qui i nostri figli ma non avete fatto una legge che li segua e tuteli nella crescita. Non verificare che studino, che si preparino a una professione significa creare appunto un problema per la società. Soprattutto in questo momento di grave crisi anche per l'Occidente dove la tensione sociale è già alta di suo».
Lei cosa farà con suo figlio?
«Le dico cosa faccio ora per i miei fratelli minori».
Prego.
«Ho voluto che restassero a Dakar a studiare, spedisco loro i soldi. Voglio che si creino un futuro non che si facciano illudere come hanno fatto questi ragazzini».
Chi li ha illusi?
«La televisione. Ci fa vedere che questo è il paese dell'opportunità. La nostra America. A voi la tv fa vedere solo la peggio Africa. A noi che da voi tutto luccica».
Invece?
«Invece non è un'opportunità fare il parcheggiatore abusivo. Un'opportunità è fare ciò che stiamo tentando di mettere in piedi con la nostra associazione: preparare e inserire nel mondo del lavoro i giovani, sfruttare la professionalità di chi già l'aveva. Eri sarto? Eri falegname? Eri muratore? Eri meccanico? Ma perché devi vendere fazzolettini? Specializzati ancora di più, impara meglio. Poi torni in Africa, crei la tua attività e dai posti di lavoro. Se noi ci avviamo in questa direzione saremo sulla strada giusta per evitare ciò che di spiacevole sta iniziando ad accadere. Ma soprattutto daremo un senso all'immigrazione. Lo sapete perché la maggior parte di noi è ambulante?».
No, ce lo spieghi.
«Tradizionalmente nel mio paese fare l'ambulante è il primo gradino di una carriera commerciale. Ma anche qui stiamo vivendo una stortura, ci stiamo accontentando di fare gli ambulanti a vita e questo esempio non va bene per i nostri figli».
Sente il peso di una responsabilità?
«Certo. Noi africani abbiamo la responsabilità di questi nostri giovani fratelli e abbiamo anche l'autorità morale per impedire che la situazione ci sfugga di mano».
Si spieghi meglio.
«Noi senegalesi abbiamo un leader indiscusso. È Abdou Doaye, una persona eccezionale. Sarà uno dei nostri due candidati alla Consulta degli stranieri di Cagliari».
L'altro sarà lei?
«No. Ecco questo è il punto. Io ho fatto, d'accordo con Abdou, un passo indietro. Abbiamo preferito che il secondo candidato fosse un giovane».
Be', anche lei lo è.
«Sì, ma il nostro secondo candidato è un ventunenne, Mouhamadou Lamine, studente del Sandro Pertini, che rappresenta proprio la nuovissima generazione, quei ragazzi che stanno iniziando a creare problemi. Crediamo fortemente che, dando loro una responsabilità, facendoli sentire rappresentati e non demonizzandoli o ghettizzandoli, ci si incammini verso la soluzione del problema che oggi stiamo vivendo».
Dalle sue parole emerge chiaramente che riponete sulla Consulta grandi speranze e importanza.
«È così. Ora questa amministrazione ci sta lanciando un messaggio importante. Ci sta dicendo: Noi vi diamo uno strumento per l'integrazione, ora sta a voi integrarvi . Non era mai successo. Adesso, dunque, tocca a noi dimostrare se ci vogliamo inserirci in questa terra oppure no. Non partecipare significa decidere di stare ai margini».
Lei spera che la comunità senegalese, la quarta per residenti in città, piazzi tutti e due i suoi candidati?
«Sarebbe molto bello. Ma non è il nostro obiettivo primario».
E qual è?
«Noi dobbiamo innanzitutto vincere la sfida della partecipazione. Dobbiamo andare in massa alle urne il 15 novembre. I cagliaritani ci stanno dicendo vi ascoltiamo e noi non possiamo perdere questa sfida».
Francesco Abate