Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Sotto canestro era davanti a tutti, anche agli uomini

Fonte: L'Unione Sarda
16 aprile 2008

C'eravamo rimasti un po' tutti male quando scoprimmo che aveva deciso di lasciare la pallacanestro per dedicarsi completamente alla musica: perché era brava, accidenti quanto era brava Marisa Sannia. Vent'anni davanti a tutte: davanti anche a tanti uomini. Il basketball cagliaritano della seconda metà dei favolosi anni Sessanta era figlio legittimo di quell'epoca in cui si poteva fare la rivoluzione anche con una palla e un canestro. O con una chitarra. Soprattutto per una ragazza apparentemente fragile ma dal temperamento d'acciaio che sapeva farsi rispettare sotto canestro, laddove regna la legge della giungla. Era stata la prima, aveva tracciato una strada: perfino la Nazionale quando la Sardegna era l'Africa, si era accorta di lei. Marisasannia, sì, tutto attaccato, come Gigiriva e pochi altri miti dello sport sardo, era stata anche il nucleo attorno al quale un grande coach come Robertino Usai aveva saputo creare una della più belle squadre sarde di sempre, non soltanto nel basketball, quel Cus Cagliari figlio di una piccola società chiamata Karalis, che era arrivato fino lassù, fino a quella serie A1, fino al sesto posto. Nessun altro, a Cagliari, ce l'avrebbe fatta nel quarto di secolo successivo. Anni ruggenti: basta pensare che l'Olimpiade si accorse che anche le donne erano in grado di gettare un pallone in un cesto soltanto nel 1976, ai Giochi canadesi di Montreal. Prima era roba da visionarie. Talmente pazze che il canestro, anche per loro, era ed è a 305 centimetri da terra, come per gli uomini: sì, la parità dei sessi, nel basketball, è sempre esistita. Marisa era la classica ala grande, quella che oggi chiamiamo freddamente con un numero, il quattro, robottizzando tutto. Sapeva unire la dolcezza di lineamenti e comportamenti alla cattiveria agonistica che l'avrebbe portata a raccogliere gloria anche altrove. Nella musica, nel lavoro, nella vita di donna che nell'immaginario collettivo del popolo del basket, è sempre rimasta una cestista. Indimenticabile: capace, come aveva saputo fare molti anni prima la leggendaria Claudia Testoni, di spalancare alle donne altre strade da percorrere. Dopo il suo addio, quando le sue morbide mani di cestista avevano iniziato a far vibrare le sei corde di una chitarra, solo un altro fuoriclasse aveva saputo eguagliarla. Ma l'avevamo dovuto chiamare dagli Stati Uniti d'America: era John Sutter. Un mostro: con il pallone e la chitarra. Come Marisa Sannia: che era però arrivata prima.NANDO MURA 16/04/2008