Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Tre strade contro la crisi: conoscenza, porto, stagno

Fonte: La Nuova Sardegna
13 agosto 2012

Accanto al bollettino di guerra delle aziende che chiudono, un 38 per cento di imprese è in crescita: nessuna punta sui settori tradizionali ormai maturi

 


CAGLIARI E’ un bollettino di guerra. Dopo la sberla dei 63 licenziamenti di Energit, mentre ci si logora sull’incontro fantasma tenuto in Regione con una possibile cordata di imprenditori intenzionati a rilevare lo stabilimento Unilever in viale Marconi, ecco il pacco avvelenato di ferragosto: la Provincia ha sospeso i contratti dei lavoratori dei Centri servizi lavoro di Cagliari. Trentacinque persone si sono ritrovate col divieto assoluto di varcare la soglia dell’ufficio. La scelta della Provincia discende dalla sentenza della Corte Costituzionale pubblicata l’8 agosto dove si sono cassate le leggi che prorogavano i contratti di quei lavoratori, il consiglio regionale, dopo una serie di errori e di omissioni dell’amministrazione, ha finalmente approvato una leggina che forse potrà aggiuntare le cose. Il segretario generale della Cisl di Cagliari, Fabrizio Carta, stigmatizza il ritardo con cui si è mosso il consiglio regionale. Rita Poddesu della Flai-Cgil cerca da giorni notizie di un incontro in Regione sul caso Unilever, la fabbrica chiusa da quattro anni i cui lavoratori sono in mobilità e per molti sta per scadere. Un’interrogazione presentata in consiglio provinciale l’8 agosto lascia intendere che possa essere in corso una trattativa per vendere lo stabilimento a un gruppo di società. «Più di un mese fa - dice Poddesu - si è parlato di questo anche in Regione, ma non c’è modo di capire meglio e per i lavoratori è un’attesa pesantissima». Cento dipendenti diretti, 80 indiretti. A queste realtà si aggiungono Gecopre in liquidazione e Profersistem chiusa, mentre Sardinia Green Island dopo aver chiuso riparte perché sono state trovate soluzioni diversificate. Nicola Marongiu segretario generale della Cgil di Cagliari spiega che nel settore edilizia gli addetti sono calati del 30 per cento. Una selezione delle opere pubbliche necessarie per il rilancio dell’isola potrebbe imprimere «una svolta positiva al settore, ma – afferma il sindacalista – gli unici fondi in uso sono quelli europei che le istituzioni hanno difficoltà a spendere perché hanno difficoltà di progettare e di concertare. La stessa sofferenza c’è nel commercio e nei servizi, diverse realtà stanno disdicendo i contratti integrativi e i call center che fanno vendite sono in difficoltà. Terminati gli incentivi e gli sgravi, le aziende non sanno gestire la concorrenza anche perché molte lavorano al ribasso. Nell’area di Cagliari tiene l’industria tradizionale (Saras, Eni) e fortunatamente il mercato del lavoro del capoluogo è più articolato che in altre zone. E poi, qui, ci sono alcune forti potenzialità e in vari casi vale anche per il resto dell’isola. Recentemente, leggendo il bollettino della Banca d’Italia sull’economia nazionale, si è visto che ci sono molte imprese sarde in difficoltà, ma c’è anche un 38 per cento di aziende che cresce, aziende che hanno un trend positivo per fatturati, vendite. Sono tutte nel campo tecnologico della conoscenza, nell’offerta di servizi innovativi alle imprese, si tratta di microrealtà che possono dare risposte alle crisi e Cagliari ha un suo dinamismo imprenditoriale. Le potenzialità ci sono anche nella relazione che bisogna creare tra agricoltura di qualità, ambiente e territorio: la messa a sistema di questi elementi che possono contare su porto, aeroporto, finora non è riuscita. Sul porto di recente abbiamo ascoltato il presidente dell’autorità portuale che ha annunciato molti progetti interessanti, non è la prima volta che li sentiamo, resistono gli stessi problemi di sempre, ma certo lo scenario c’è: il porto è la piazza liquida della città. Un grande buco nero è lo stagno di Molentargius: è un’infrastruttura ambientale fra le più importanti del Mediterraneo ma viene soffocata in piccole diatribe. Noi diciamo che si deve evitare di cercare risposte solo nei settori tradizionali che sono ormai maturi. Puntiamo sui settori complementari e su ciò che abbiamo, tenendo conto che l’asse più finanziato soprattutto dalla comunità europea è l’ambiente».(a.s.)