Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Com’era verde la mia terra Ora basta con il cemento

Fonte: La Nuova Sardegna
12 giugno 2012

Unire il progresso e il benessere, immaginando un turismo ecosostenibile lontano per sempre dal cliché di orrendi villaggi marini popolati solo d’estate

IL DIBATTITO




di Flavio Soriga Ogni tanto qualcuno, parlando della Sardegna a Roma o Milano, addolcendosi al ricordo di adolescenze raminghe per campeggi estremi con amici e fidanzate, immalinconendosi nell'evocare i propri diciott'anni e quei primi viaggi da soli e in luoghi tanto distanti da casa, ogni tanto qualche italiano cinquantenne mi dice: «Quant'era bella, la Sardegna, a quei tempi. Tu non hai idea». Siccome quei tempi sono lontani venti o trent'anni, una certa idea ce l'ho, invece. Quando quei milanesi o romani andavano in moto alla scoperta delle spiagge della selvaggia terra italiana chiamata Sardegna, io andavo in quelle stesse spiagge con i miei genitori. Ma loro non ci credono, che io abbia conosciuto "quella" Sardegna, e continuano: «Era tutto incontaminato, non come adesso». E si dispiacciono, e si arrabbiano, e mi spiegano che per arrivare in una certa spiaggia, dovevano arrancare su strade bianche per un'ora intera. E i pulmann non arrivavano. E in quell'insenatura fantastica non c'era niente, non come adesso che c'è un chiosco delle bibite, si possono noleggiare i pedalò e un sacco di persone arrivano in automobile (orrore! La folla! I pedalò! le automobili!). Ecco, questa gente qui, che si considera magari anche un po' sarda perché è venuta in vacanza da noi per quindici estati di seguito, questa gente qui è come se si rammaricasse del fatto che i sardi vogliano vivere in case moderne, guidare in strade comode, fornire le proprie città di lampioni, andare nelle loro spiagge su pulmann di linea, comprare una bibita in un chiosco se hanno sete. Che sarebbe, poi, tutto questo, il progresso. Che sarebbe, poi, lo sviluppo ragionevolmente attuato, che fa godere dei suoi frutti il maggior numero di persone possibile. Ci serve, il progresso? Sì, ci serve. Perché è solo grazie al progresso (alla crescita economica, allo sviluppo industriale e dei servizi e del turismo, agli stipendi e alla crescita dei consumi) che siamo diventati una terra più o meno progredita. Non ricca, rispetto agli standard europei, ma comunque infinitamente più ricca di quanto siamo mai stati nella nostra storia. Infinitamente più progredita di quando nessuno voleva venire a vivere qui perché la fame e la miseria erano ovunque, la malaria anche, e la vita dei pastori e dei contadini era dolce e piacevole solo nei quadri. Se fosse stato bello e dolce, vivere nei campi in quegli anni di inquinamento zero e orrori edilizi zero, non si capisce perché i sardi accettassero (e di buon grado) di andare a guadagnarsi da vivere sottoterra, nelle miniere. E dunque: dispiace per i vacanzieri romantici e malinconici, e per i sardi contrari a qualunque sviluppo, ma il progresso noi sardi lo vogliamo, eccome. Asfaltare le strade non è un male in sè, costruire abitazioni nuove e confortevoli nemmeno, offrire bibite e pasti ai turisti e ai vacanzieri meno che mai. Se c'è una cosa che ha fatto bene a questa terra nell'ultimo mezzo secolo (oltre alla spedizione della fondazione Rockfeller per estirpare la malaria) è la scoperta della Sardegna da parte dei turisti e dei viaggiatori. E però – e qui siamo al punto, e qui dovrebbe ripartire il dibattito pubblico in Sardegna, e possibilmente con la partecipazione dei politici che si candidano a governarla – e però: di che sviluppo abbiamo bisogno? Di quante case c'è bisogno in questa terra? E Costruite per chi? Ed è meglio fornire le nostre spiagge di campeggi e chioschi in legno, o costruire altre migliaia di seconde case fronte-mare? Fatto salvo il diritto di tutti i Comuni di progettare un futuro di crescita economica (e sociale, e culturale) ha senso puntare ancora e sempre sul consumo del territorio costiero per ottenere lo scopo? Le seconde case al mare sono vuote undici mesi all'anno. In grandissima maggioranza sono proprietà di non-sardi, che se va bene vengono qui per due settimane, e per il resto cercano di affittarle ad altri vacanzieri (magari sardi). E' un sistema che funziona, quello delle villette, dei palazzotti di fronte al mare, dello snaturamento urbanistico di piccoli paesi per far posto a questi quartieri fantasma abitati due mesi all'anno? A chi ancora confonde il turismo con l'edilizia, ai sindaci che dicono di voler "valorizzare" le proprie coste e dicendolo sognano di veder sorgere borgate intere di casette da vendere ai forestieri, il consiglio è di andare in questi giorni nei comuni marini sardi che hanno puntato su questa strada: piccoli paesi semideserti, perlopiù imbruttiti senza appello dal sadismo di geometri schizzofrenici, una grande quantità di pizzerie, lounge-bar e negozi di cosiddetti souvenir, tutti pronti ad accogliere il turista d'agosto, che chissà però se verrà ancora, e se vorrà ancora comprare quei tappettini di Mogoro fatti in Cina. Ecco, quel modello di sviluppo è giusto o sbagliato? Di questo dovrebbero discutere di nuovo i nostri politici, possibilmente con linguaggio chiaro e con un po' di onestà, senza infingimenti e senza temere il giudizio di chi vorrebbe che i sardi continuassero a vivere nelle pinnetas e a girare per le mulattiere perché così si conserva l'identità di un popolo. Di progresso abbiamo un bisogno tremendo, purché davvero pensato per il vantaggio di tutti, e non solo degli speculatori edilizi. La strada per il progresso è sempre impervia, lo è sempre stata in qualunque terra, va