Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Il cantiere era in regola»

Fonte: L'Unione Sarda
24 maggio 2012

VIA CABONI. Assolti i tre costruttori, il progettista e un dirigente comunale

Il giudice: nessun bene identitario vicino ai palazzi

Le tesi della difesa erano corrette, e lo stesso pm ha chiesto l'assoluzione degli imputati a processo per abuso edilizio, falso e violazione dei vincoli paesaggistico e idrogeologico: costruttori, progettisti e dipendenti comunali avevano predisposto disegni e autorizzazioni secondo regola, e inoltre la presenza di quel “fortino” a neanche 100 metri dalle palazzine da edificare in via Caboni non poteva essere elemento sufficiente a bloccare il cantiere, come in realtà avvenuto quattro anni fa. Così ieri il giudice ha assolto con formula piena (“il fatto non sussiste”) Antonio, Alessandra e Maurizio Puddu della “Antonio Puddu srl” (committenti e costruttori dei due edifici), Luciano Deplano (progettista) e Mario Mossa (dirigente del servizio edilizia privata comunale).
IL SEQUESTRO I sigilli erano arrivati il 3 gennaio 2008 su ordine del gip, risultato di un'inchiesta cominciata nel novembre precedente su denuncia dei residenti: sotto il convento delle Figlie della Carità, nel colle di Bonaria, speravano arrivassero i giardini invece stavano sorgendo due edifici di sette piani. Eppure, dicevano, il Puc del 2001 prevedeva in quella zona verde pubblico e scuole. Il pm aveva sostenuto che il cantiere fosse in contrasto col Piano paesaggistico regionale perché a ridosso di alcune costruzioni di interesse storico e culturale: lo stesso convento, una cisterna e due fortini costruiti durante la Seconda guerra mondiale. Beni sottoposti a rigidi vincoli.
ASSOLTI Quattro anni dopo ecco l'assoluzione (il cantiere era stato dissequestrato nell'ottobre 2008, una legge regionale di quel luglio aveva annullato il contenuto del Ppr). L'accusa sosteneva fosse sufficiente indicare la categoria (in quel caso la “fortificazione”) perché un bene diventasse identitario; invece i difensori Mariano Delogu, Rita Dedola, Francesco Marongiu, Michele Loy e Marcello Vignolo hanno sostenuto che già nel 2008 il Codice Urbani, riferimento normativo in questi casi, era stato integrato «da un decreto legislativo nel quale si spiegava che era necessaria la loro individuazione specifica», cioè caso per caso. La Regione si era adeguata demandando il compito agli enti locali. Comunque, hanno aggiunto gli avvocati, il fortino non era una fortificazione «ma solo un deposito militare della Seconda guerra mondiale destinato al carburante». Quindi «neanche in concreto poteva configurarsi come bene identitario». Infine il vincolo idrogeologico: per il pm c'era un pericolo elevato di frane «ma nel 2006, prima delle concessione edilizia, fu fatta una conferenza di servizi dove Comune, Genio civile e autorità competenti avevano approvato il progetto di azzeramento del rischio predisposto dai Puddu: un muro di contenimento». Era stata rispettata «la normativa Pai ( Piano assetto idrogeologico regionale ) per mitigare il pericolo».
Andrea Manunza