Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Cada Die con Maria Giacobbe, a dire di giustizia e di vendetta

Fonte: L'Unione Sarda
17 maggio 2012

La compagnia festeggia in Vetreria il trentennale riproponendo “Arcipelaghi”
 

La scrittrice commenta il suo romanzo che si fa teatro
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Posto, spettacolo, compagnia, sono gli stessi di un tempo. Cambia solo l'anno. Ma lei, Maria Giacobbe, è presente anche martedì. Seduta nella platea di un gremito teatro La Vetreria a Pirri, si gode per la seconda volta la pièce tratta dal suo romanzo “Gli Arcipelaghi”, proposta con adesione emotiva dai bravi e intensi Pierpaolo Piludu e Alessandro Mascia, con l'accorta regia di Alessandro Lay, in occasione dei festeggiamenti per i trent'anni del Cada Die. La prima rappresentazione risaliva al 9 marzo del 2005. La scrittrice nuorese accettò di buon grado l'invito della storica compagnia guidata da Giancarlo Biffi, prese posto tra il pubblico, e assistette a quella che, per ovvi motivi di tempo, non poteva che essere un'interpretazione scenica della sua splendida opera. E guai, oggi come allora, a parlare di riassunto o riduzione.
Oggi come allora, nulla è cambiato: l'oscurità che avvolge la scena; il passaggio di testimone da un attore all'altro; la storia di Giosuè, un ragazzino di dodici anni che voleva fare il calzolaio e non il pastore, e pagò con la vita quello che non doveva vedere, ovvero, il furto di bestiame da parte di tre compaesani. Nel finale, Oreste ucciderà l'assassino di suo fratello, con una pistola messa in mano dalla madre. «Come mi è capitato di dire altre volte, il tema principale non è quello della vendetta, e tanto meno quella barbaricina, quanto il desiderio di giustizia che è un desiderio universale», afferma la scrittrice nuorese da una vita residente a Copenhagen nel corso dell'incontro voluto dal Cada Die al termine della pièce. Uno spettacolo molto applaudito, a cui prendono parte anche il regista Giovanni Columbu, chedal libro di Giacobbe ha tratto l'omonimo film, Cristina Lavinio, docente di letteratura italiana all'Università di Cagliari, e Francesca Meloni, responsabile del coordinamento minori della sezione di Amnesty International del capoluogo sardo. «Un desiderio profondo come l'amore. Senza giustizia viviamo nell'incertezza», prosegue l'autrice: «A volte però, in certe società, la giustizia non viene vista come dovrebbe essere. Vivo da molto tempo in Danimarca, e tanti anni fa lessi in un giornale un fatto che mi colpì. L'assassino di una ragazza era stato giudicato innocente dal tribunale. Mancava la prova definitiva per farlo condannare. La madre della ragazza ascoltò il verdetto in aula, poi, tirò fuori una pistola, e lo ammazzò».
Riguardo la messinscena, «trovo che gli attori abbiano fatto un buon lavoro anche sul versante linguistico. Mescolare italiano e logudorese sul palco aggiunge forza interpretativa. Nel libro, invece, non faccio mai riferimento alla Sardegna, non cito Ovodda, Tresnuraghes o altri paesi della nostra Isola. Uso nomi della tragedia greca, perché quello è il modello che ancora oggi vale di più. Tutti i sentimenti, i bisogni, gli stati d'animo che troviamo nel libro, lì sono già stati descritti».
Carlo Argiolas