Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Quei graffi imparagonabili alla bellezza dei murales»

Fonte: L'Unione Sarda
9 maggio 2012

Non c'è condivisione con la comunità che invece li subisce


È difficile non cedere alla tentazione di un giudizio laconico sui writers, i graffitari che si cimentano sui muri delle città. Da più parti, anche autorevoli (si pensi a Vittorio Sgarbi), si inquadra, infatti, la loro azione in una nuova forma di arte metropolitana, meritevole di nota, o addirittura di plauso.
A complicare l'analisi, poi, contribuisce il retaggio particolare di noi sardi rispetto ad una forma vagamente simile di arte nazional-popolare: i murales.
Il paragone è più che azzardato e non è difficile rintracciare le differenze fondamentali fra i due fenomeni: anzitutto l'innegabile volontà espressiva delle opere che arricchiscono i muri di tanti paesi dell'Isola, a prescindere dal valore intrinseco, in termini artistici, di ciascun murale. E, soprattutto, la condivisione della comunità che li ospita: chi dipinge non impone la propria arte a chi guarda, né a chi rivendica la proprietà della grande tela muraria su cui i colori vengono stesi.
Vero è che gli stessi writers sostengono che non tutti i graffiti debbano collocarsi sullo stesso piano: una cosa sarebbero gli scarabocchi fini a se stessi, altro i lavori realizzati con impegno e precisione, magari con velleità di trasmettere un messaggio più o meno impegnato o intellegibile.
Il problema, oggi, è anche questo: trovarsi alla prese con un numero imprecisato di ragazzi (spesso giovanissimi) convinti di essere portatori di un'arte che va elargita generosamente. E che, in nome di questa opinabile forma espressiva di cui pretendono di essere contestualmente autori infaticabili e critici entusiasti, si debbano sacrificare i beni di un numero ben maggiore di individui: il diritto al decoro dei luoghi, il rispetto per la cosa altrui, il dovere di evitare inutili spese a carico della comunità.
Sì, perché l'eliminazione delle “esplosioni artistiche” dai muri ha un costo elevato, che diventa spropositato se “l'opera” deve essere rimossa da superfici realizzate con materiale di particolare pregio.
Se poi ci soffermiamo su fatti più vicini e recenti (le scritte nuovamente apparse sui muri del bastione di Saint Remy, o la new entry dello sfregio alla Porta dei Leoni,) possiamo lasciar cadere ogni riferimento all'arte e parlare in termini ben più disincantati.
Domandarci come sia possibile che l'unica forma espressiva di giovani e giovanissimi sia quella di sporcare e deturpare.
Stupirci di come sia loro concessa la libertà di farlo, in primis dalle famiglie, impunemente e quasi sempre nelle tarde ore notturne. E chiederci se davvero l'unica alternativa sia quella di blindare, da una certa ora in poi, luoghi di ritrovo e monumenti, innalzando di fronte a certe storture una grande bandiera bianca, pronta anche quella ad essere imbrattata dall'estro di vandali impuniti.
Federica Poddighe
(Circolo La Caravella)