Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Gadda va alla guerra, Gifuni in scena a Cagliari

Fonte: La Nuova Sardegna
27 aprile 2012



L’attore protagonista di una straordinaria interpretazione per la regia di Giuseppe Bertolucci




di Roberta Sanna wCAGLIARI "L'ingegner Gadda va alla guerra (o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro)" - ancora in scena al Massimo sino a domenica - è lo spettacolo appassionante e densissimo in cui Fabrizio Gifuni, con l'attenta regia di Giuseppe Bertolucci, giganteggia dando corpo alle parole di Carlo Emilio Gadda, tracciando linee interpretative, nessi logici e psicologici nella produzione letteraria del grande scrittore del '900 italiano. Andando a coprire lo spazio tra il "Giornale di guerra e prigionia" del primo conflitto mondiale e il saggio "Eros e Priapo" (1967), tra il doloroso grumo - memoria da cancellare passandosi una mano sulla fronte - narrato dal giovane sottotenente "Gaddus, interventista stronzo" che torna "morto in vita", e lo scrittore-ingegnere del linguaggio e inventore di nuovi mondi dei lavori successivi, che si libra alto e furente nell'invettiva a Mussolini. Gifuni disegna un percorso drammaturgico. Trova il collegamento nel Pirobutirro controfigura dello scrittore ne "La cognizione del dolore", trasfigurato qui in Amleto novecentesco, che al personaggio shakespeariano ruba a tratti il copione, e sempre il senso di un'estraneità totale e insanabile. L'apparentemente ardito legame funziona, magistralmente incarnato dall'attore. Solo, con una sedia e pochi effetti luce, lo straordinario Gifuni colma di significati e comunica, con ingegneristica interpretazione e potenza atletica, emozione e passione e ogni sfaccettatura dei testi. Affiorano dai diari, mescolando tratti dialettali e antropologici, l'affondo contro la guerra e il divertito ritratto degli italiani, la nostalgia della famiglia, il dolore per i giovani immolati e l'indignazione per " i furti e l'inettitudine" degli "asini e i pezzi da Grand Hotel" che sulla guerra speculano. Il suo "sguardo acuto" si fa sarcasmo incendiario nel ritratto del "Kuce" e della demenza di un "popolo frenetizzato dal parolaio da raduno". La ritmata sintesi-pantomima mussoliniana denuncia un "eros in gavazza" generante prole/carne da macello per la soddisfazione "sadica e omoerotica", e poi, faccia faccia con la platea, un ethos ridotto a salvaguardia di sé ("è crimine la mancata idolatria"), e la menzogna "narcissica" di chi "con tacchi tripli fa eccellere la sua nanezza. E nient'altro". Con un trasparente cortocircuito si conclude uno spettacolo da cui, una volta tanto, esce forse affaticato per la profusione di energia l'attore, ben risarcito da applausi pieni, grati e convinti, e non l'appagato spettatore, altre volte cavia di idee e ideuzze registiche diligentemente riportate dagli interpreti.