Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Zagrebelsky e il Grande Inquisitore

Fonte: L'Unione Sarda
26 marzo 2012

L'incontro con Loche

Nel Massimo echeggia ancora il verbo dostoevskiano quando Anna Maria Loche prende posto per un dialogo socratico «nel quale non si sa bene chi interpreterà il maestro», afferma il suo compagno dialettico, Gustavo Zagrebelsky. Franco Graziosi ha appena terminato la lettura de “La leggenda del Grande Inquisitore”, capolavoro nel capolavoro dei “Fratelli Karamazov”, parabola oscura raccontata dal rivoluzionario Ivan al religioso Aleksey: nella Spagna della Santa Inquisizione il Cristo, tornato per la redenzione delle anime, viene imprigionato. Nella notte il vecchio Inquisitore gli porge visita, apostrofandolo in un lunghissimo monologo: la storia degli uomini si rivela un incubo nel quale la libertà è sacrificata da secoli per la sopravvivenza del genere umano. Cristo ascolta in siderale silenzio, condannato al rogo. «Una gemma solitaria che brilla di luce ambigua, inquietante», esordisce Zagrebelsky. «In molti individuano nella Leggenda la prima profezia sulla società di massa. Nel 1861 Dostoevskij si recò a Londra per la seconda Esposizione Universale. Milioni di anonimi individui infiammarono l'anima del più grande epilettico della storia, che negli istanti precedenti le crisi sperimentava il distacco dal corpo, l'eternità».
Inquisizione totalitaria o Messia, salvati e sommersi, Creonte e Antigone, come suggerisce la Loche. «La Leggenda ha per la prima volta risposto alla domanda sul perché gli uomini obbediscano al potere rinunciando alla libertà», continua l'intellettuale piemontese. Non è certo un caso che la parabola dostoevskiana abbia attirato negli ultimi due decenni un interesse particolare da parte di molti pensatori. La massa postnovecentesca è stata distratta, acquistata, ridotta a pingue catalessi da inquisitori evaporati. «Il Grande Inquisitore rappresenta la ragione di stato, è un personaggio dolente, è come ce lo immaginiamo. Come ce lo immaginiamo»?, si chiede Zagrebelsky in un silenzio che si trasforma in riso collettivo, nell'unico velato riferimento alla politica italiana del passato prossimo. La leggenda è un'anomalia nei polifonici romanzi del grande maestro russo. Un monologo enigmatico che confonde. La figura crudelmente, gloriosamente umana dell'Inquisitore e quella aerea, eterna del Cristo: bene e male si intrecciano nella pienezza del bello che «salverà il mondo». I quesiti proliferano, e durano nei secoli come i complotti. C'è solo un gesto nel Cristo di Dostoevskij: terminato il monologo, il bacio sulle labbra dell'Inquisitore, che si ritrae, in un brivido. Al messia verrà risparmiata la morte, purché continui la sua opera di salvazione lontano, nei meandri dell'umanità. «Il racconto e il bacio sono un enigma che solleva domande, come tutti i veri classici», chiude Zagrebelsky. A breve si alzerà il sipario sulla riduzione dei “Fratelli Karamazov”. La letteratura si è fatta filosofia, la filosofia teatro, il teatro vita.
Luca Foschi