Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il teatro sposa la filosofia: è l'allegria della mente

Fonte: L'Unione Sarda
26 marzo 2012

Il Massimo di Cagliari gremito, molti fuori, all'esordio del Festival

Tanti studenti in sala per una festa dell'anima

Pagare un biglietto, di sabato mattina, per chiudersi quattro ore in una sala, a sentir parlare di filosofia. O restar male perché non c'è più posto. C'è speranza se questo accade a Cagliari, se uno spazio teatrale abitato tutte le sere, fino a martedì, dai “Fratelli Karamazov”, si anima di giorno per affrontare i temi che l'anima russa di Dostoevskij porterà alla luce la sera. Nella platea del Massimo, e su, in loggione, c'è il pubblico che di solito va a teatro ma anche quello che non ci va, e ci sono loro: gli studenti cagliaritani, quelli nuoresi, di altri centri, arrivati in pullman a sentir parlare Remo Bodei e Antonio Delogu di paura della libertà.
Bel colpo di teatro. E non è un caso che a battezzare la prima edizione del Festival della Filosofia sia un filosofo che qui è nato 72 anni fa per poi andare nel mondo e tornare quando può. Nel giugno del 2010, su questo stesso palco, il Comune consegnò a Bodei (attualmente alla Ucla di Los Angeles) il premio del Ritorno, e fu quella l'occasione per affrontare il tema della nostalgia, della separazione, dell'esilio. Molti cagliaritani vennero a sentirlo. A presentarlo c'era Roberta De Monticelli, sua collega, docente di Filosofia della persona all'Università San Raffaele di Milano. Deve essere nata quel giorno, in lei, l'idea di riportarlo al Massimo, e con lui altri filosofi, di coinvolgere nella sfida lo Stabile di Sardegna, di cui Guido De Monticelli è direttore artistico, di trasformare una serata in un festival, un premio per uno in un premio per tutti. E allora eccolo il palco del teatro Massimo con la sua scenografia, sullo sfondo il tavolo lungo sei metri intorno al quale i fratelli Karamazov «fanno conoscenza». Raccoglie il fuoco della passione e dell'intelletto, coagula l'intero dramma.
È più corto, meno ingombrante, quello che accoglie i primi protagonisti del Festival. Bodei e Delogu parlano dopo i padroni di casa Maria Grazia Sughi, Corrado Giannetti, Guido De Monticelli; dopo l'assessore comunale alla cultura Enrica Puggioni, dopo Roberta De Monticelli e Pierluigi Lecis, i filosofi ideatori del festival. E per oltre tre ore, davanti a quegli studenti arrivati a sentirli, danno il via all'esperimento. Disquisiscono di coscienza etica, di nuovi possibili modi di convivenza, di ricerca di spazi autentici di relazione, di coinvolgimento attivo. Di senso. Una festa dell'anima, dice Roberta Monticelli, intorno a due pezzi importantissimi del pensiero che si sfiorano e si incontrano: il teatro e il discorso filosofico. Una contaminazione affascinante «che sveglia l'allegria della mente», pone domande, apre varchi per progetti futuri. Un seme gettato, aggiunge Lecis, un festival al quale si partecipa non passivamente, ma facendosi coinvolgere. Questo è l'obiettivo che l'iniziativa si prefigge, non a caso i promotori hanno scelto la forma del dialogo. Anche se nell'incontro augurale tra Bodei e Delogu un po' manca. Sarà che sono rivolti verso il pubblico, e non uno di fronte all'altro, sarà l'assenza di un Socrate provocatore (De Monticelli sarebbe perfetta), i loro interventi non si fondono come potrebbero. Ma la festa è appena all'inizio. Stamattina alle 11.30 (dopo l'affollatissimo incontro di ieri con Zagrebelsky-Loche, dedicato al Grande Inquisitore e preceduto dall'attore Franco Graziosi con “La leggenda” dostoevskiana), Vito Mancuso discuterà con Alessandro D'Alessandro su “Florenskij e la spiritualità: Occidente e Oriente”. Alle 16 Sergio Givone e Pier Paolo Ciccarelli parleranno di Grazia e di Legge. E alle 19, in scena, di nuovo loro, i Karamazov.
Maria Paola Masala

 

Remo Bodei e Antonio Delogu protagonisti del dialogo che apre la manifestazione

Primo tema, la paura della libertà

La condizione umana tra inquietudine, mistero, verità

Remo Bodei, con quel suo modo rassicurante, comincia con un racconto di Kafka, e può esserci qualcosa di più inquietante sulla condizione umana? “La tana” (1924) è la metafora dell'indecisione, l'oscillazione tra tranquillità e pericolo. Tutte le uscite sono uscite di insicurezza, ci ammonisce il filosofo, e il suo, in fondo, è un invito a percorrerle rivolto soprattutto ai giovani che ha di fronte, ché gli altri con la loro paura della libertà hanno già fatto i conti. Ma non basta la semplice esortazione illuministica o kantiana, ammonisce. Non si può chiedere alle persone di essere libere, se non lo sono, e la tensione verso la sicurezza è più forte del desiderio di guardare al futuro. È questo il senso del fallimento della libertà, del suo soccombere di fronte ad altri impulsi vitali. «Agire provoca una perdita dell'innocenza. Molto più comodo obbedire, respingere le responsabilità, far parte di un gregge». C'è tuttavia una certezza in questa miseria che ci caratterizza: ci sono diversi gradi di libertà, «e se è vero che la forza di gravità ci attira verso la terra, Nureyev che piroetta nell'aria è più libero del bambino che gattona. E più conosciamo i condizionamenti che subiamo più siamo liberi».
Il vero tremendo mistero della libertà è il suo legame col male. La libertà può essere anche il male, avverte Bodei citando Epicuro e Pareyson. «Se ne discute da millenni, io non ho la soluzione, ciascuno dovrebbe essere capace di trovarla per suo conto. Noi dobbiamo dare i semi, ma la piantina la dovete curare voi». Nella sua lezione in tre tappe parla di Spinoza e del Qohelet, di Tolstoj e del Grande Inquisitore dostoeskiano, di Huxley e Platone. Ma ricorda anche l'amico Edmondo Berselli e le sue previsioni su un futuro di povertà, la ricerca di qualcosa che renda l'esistenza meno bulimica, l'assunzione di nuove responsabilità. «Possiamo dare un senso al nostro agire essendo ospiti grati e non ingrati della vita. Soggetti attivi e non passivi».
Temi cari alla speculazione di Antonio Delogu che chiamando in causa la società liquida di Baumann sottolinea l'inconsistenza reale di quella enorme, apparente libertà di cui godiamo. Al contrario, siamo preda del conformismo e del consumismo, vittime tutti di quell'«automatismo del soggetto anonimo» di cui parla Giuseppe Capograssi (filosofo caro a Delogu). È l'individuo collassato su se stesso, privo di responsabilità. «Siamo convinti di essere protagonisti, in realtà la libertà della coscienza si è diluita in una grigia opacità. In questo vuoto esistenziale possiamo solo riscoprire noi stessi». Si rifà al Libro dell'inquietudine di Pessoa, il filosofo sassarese, e si appella a una autoritas che possa fungere da punto d'appoggio alla nostra libertà, a una verità (quella cara a Simone Weil), indipendente da ciò che io voglio o la maggioranza vuole, auxilium e non potere. È la coscienza interiore, concorda Bodei, quella sola che opponendo resistenza ai nostri impulsi può consentire alla colomba di Kant di prendere il volo.
M.P.M.