Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Un argine all’antipolitica

Fonte: La Nuova Sardegna
26 marzo 2012


MASSIMO FANTOLA*

 

 

C’è un filo conduttore nell’intervento di Silvio Lai che deve essere condiviso sul fronte delle grandi sfide del cambiamento.


Èla necessità di costruire, in questa prospettiva, un nuovo rapporto tra cittadini ed istituzioni, tra politica e partecipazione. Ciò è ancora più vero in Sardegna dove vi è la necessità di un radicale processo di innovazione che deve essere accompagnato da un consapevole consenso della opinione pubblica. La sua attuale crisi è, infatti, certamente, frutto di scelte sbagliate, che ci riportano indietro nella storia più o meno recente; è conseguenza della trasformazione che coinvolge l’intero pianeta. È anche figlia, però, della lentezza con cui la classe dirigente sarda ha messo in campo misure capaci di renderla competitiva. Per questo motivo la nostra classe dirigente è chiamata a un cambio di passo. Se fossimo ancora troppo lenti nel reagire ai cambiamenti che già sono avvenuti, rischieremmo di condannare l’isola ad un inesorabile declino.
Una classe dirigente, che non riesce a indicare con chiarezza dove ci porterà il cambiamento e non si preoccupa di coinvolgere i cittadini nelle scelte che riguardano il loro futuro, è inevitabilmente destinata a perdere consenso. E non è un caso che si moltiplichino i movimenti spontanei, ma formidabili nel denunciare il vuoto che hanno davanti.
Ridurre lo spred tra istituzioni e cittadini rappresenta, dunque, una priorità. Ma ricreare il consenso non è una cosa facile. Il consenso è una merce scarsa e preziosa e, come l’energia di origine fossile, costosa e difficile da rinnovare.
In questo scenario i referendum, che i sardi voteranno il 6 maggio, rappresentano uno strumento, magari grossolano e imperfetto ma di straordinaria partecipazione democratica e capace di rappresentare una bozza di quel processo di innovazione delle istituzioni e dell’intera società sarda di cui la Sardegna ha bisogno e che i sardi chiedono.
I quesiti referendari sono 10, 5 abrogativi e 5 consultivi, vanno dall’abolizione delle province, alla riduzione del numero dei consiglieri regionali, dall’abolizione dei consigli di amministrazione degli enti, all’abrogazione della legge che lega gli emolumenti dei consiglieri regionali a quelli dei parlamentari e, infine, all’istituzione dell’Assemblea Costituente. Nel loro complesso, puntano a restituire centralità nelle scelte al cittadino-elettore, hanno l’obiettivo di modernizzare le nostre istituzioni, mirano a ridurre i costi della politica, restituendole quella sobrietà e quella dignità di cui si sente forte bisogno. È uno strumento capace di costruire quel nuovo rapporto “tra cittadini ed istituzioni - di cui parla Lai - e con esso si legittima una nuova classe politica che dia il suo insostituibile contributo alla democrazia ed alla crescita della nostra Regione”.
D’altra parte, proprio su queste basi è nato il Movimento Referendario, sostenuto da centinaia di sindaci e amministratori di diversa cultura e appartenenza politica. Un movimento che chiama a raccolta i sardi di buona volontà che non intendono creare un “partito”, né intendono sostituirsi ai partiti, ma vogliono promuovere un “sentimento maggioritario” in Sardegna, che possa arrestarne e invertirne l’inesorabile e progressivo declino, senza lasciare il campo all’antipolitica.
*Movimento referendario