Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Porto canale, ko per il Cacip

Fonte: La Nuova Sardegna
9 marzo 2012



Sui confini dello scalo il Tar dà ragione alla Capitaneria




ALESSANDRA SALLEMI

CAGLIARI. I quattro terreni del porto canale venduti dal Cacip nel 2007 sono demaniali, cioè pubblici, la Capitaneria di porto ha agito bene il 24 giugno 2010 quando, nello stabilire i confini del porto industriale, ha incluso anche quegli appezzamenti. Lo ha deciso il Tar il 7 marzo nella sentenza sul ricorso presentato dal Cacip contro la delimitazione, contro il mancato accoglimento delle opposizioni presentate nell’agosto 2010 sulla delimitazione e anche contro il decreto ministeriale del febbraio 2011 in cui si varava definitivamente la quarta e ultima delimitazione della tormentata storia del terminal container. Ma c’è di più. Nella sentenza il Tar accoglie anche un’altra richiesta dell’avvocatura dello Stato (difensore della Capitaneria) e condanna il Cacip a presentare il rendiconto sui finanziamenti e i contributi ricevuti in base alla convenzione (scaduta nel 2007) per finire le opere del porto canale. La sentenza del Tar è entrata nel merito di una questione annosa e controversa sulla titolarità di alcune aree del porto canale e l’ha risolta a favore della proprietà statale e non del Consorzio industriale. Tutto nasce nel 1974 con la convenzione tra cassa del Mezzogiorno e Casic per la costruzione del porto canale. L’intestazione a favore del Casic di una parte delle aree espropriate per costruire lo scalo viene interpretata dal Consorzio come «un trasferimento del diritto di proprietà dall’amministrazione statale, autorità espropriante, al Consorzio, quale delegato allo svolgimento delle procedure di espropriazione». L’interpretazione corretta ribadita dai giudici amministrativi è invece tutt’altra: con la convenzione-quadro del 1974 il Consorzio riceveva una delega alle espropriazioni, pertanto «il diritto di proprietà sulle aree espropriate appartiene all’autorità espropriante, cioè al delegante». Più avanti nella sentenza il Tar chiarisce ulteriormente: per le aree espropriate a privati, «nel momento della conclusione della procedura espropriativa, con l’emanazione del decreto di esproprio, si realizza il passaggio del diritto di proprietà dai privati all’autorità beneficiaria dell’espropriazione, ossia, sulla base della convenzione-quadro del 1974, al ministero della Marina Mercantile, oggi Ministero delle Infrastrutture e Trasporti». Il Tar respinge anche l’ipotesi che i terreni potessero essere incamerati dal Casic quale compenso per l’attività svolta: «...la convenzione prevedeva espressamente quale fosse il corrispettivo di tale impegno».
Nella sentenza, i giudici amministrativi danno atto alla Capitaneria di porto di aver condotto la delimitazione «con un corposo apparato motivazionale» e di aver agito perché il precedente verbale della commissione (gennaio 2003) dichiarava come «improcedibile» la richiesta di delimitazione delle aree lasciando invece i confini delle aree demaniali rispetto a quelle appartenenti a privati «in una situazione di obbiettiva incertezza». I giudici hanno notato come «... nessuna delle plurime procedure di delimitazione delle aree demaniali marittime che nel tempo si sono succedute si sia conclusa con la definitiva individuazione del perimetro entro il quale ricomprendere le aree...». Secondo la commissione del 2003 «la gran parte delle predette aree... non apparivano rivestire i caratteri della demanialità marittima», i giudici del Tar sottolineano a questo proposito che «da questa constatazione non discende nessun effetto preclusivo lasciando, viceversa, impregiudicata la possibilità e la necessità di riprendere in futuro l’attività di delimitazione». In altre parole: finché in un porto i confini non sono precisi, la Capitaneria ha l’obbligo di chiarire le cose. Infine, il Tar, a proposito del dubbio sull’effettiva costituzione del Cacip e quindi del suo essere il successore del Casic, ha affermato che la legge istitutiva dei nuovi consorzi è stata rispettata. Ecco perché il Cacip deve fare oggi ciò che il Casic non ha fatto: restituire i terreni e spiegare come ha speso 360 miliardi di vecchie lire finanziati a fine anni Ottanta per concludere i lavori del terminal, la «rendicontazione» chiesta specificamente dall’avvocatura dello Stato.