Rassegna Stampa

Sardegna Quotidiano

INIZIAMO A CAMBIARE CON I 10 REFERENDUM

Fonte: Sardegna Quotidiano
1 marzo 2012

 

Possono essere la spinta per riformare una regione che non riesce a svolgere il giusto ruolo né in Italia né in Europa  

 

di Alessandro Aramu

Dieci referendum per cambiare la Sardegna. Lo slogan, bisogna ammetterlo, è ambizioso ma l’impor - tante è crederci. Per cambiare la Sardegna ci vuole ben altro che un semplice referendum, lo sanno tutti. L’abrogazione di alcuni istituti però può essere la spinta per riformare gli assi portanti di una regione che non riesce a svolgere il giusto ruolo né in Italia né in Europa. Sotto questo profilo l’intenzione dei promotori è da considerarsi buona e merita un grande attenzione. I temi sono importanti. Si parte dall’abrogazione delle quattro nuove province. Con tutto rispetto per il Sulcis, la Gallura e, soprattutto, il Medio Campidano e la microscopica Ogliastra, è evidente che l’aver portato da 4 a 8 gli enti intermedi in Sardegna è stato un clamoroso errore. La situazione economica e geografica dell’Iso - la richiedeva un’articolazione territoriale degli enti locali più intelligente e razionale di una semplice moltiplicazione di Province. La classe politica sarda lo ha capito con grave ritardo – facendo ricadere il costo di quella operazione sui cittadini - e alcuni esponenti che un tempo profetizzarono la bontà di quella scelta ancora oggi siedono in Consiglio regionale. Si spera che qualcuno di loro prima di far parte del Comitato Promotore abbia il buon gusto di spargersi pubblicamente il capo di cenere. Basterebbe questo. L’abrogazione della legge che determina lo status e l’indennità dei consiglieri regionali, e la loro riduzione al numero di 50 (referendum solo consultivo), rappresenta invece un reale taglio ai costi della politica, ben più della recente legge regionale (demagogica e inutile) sui Consigli comunali. Liberarsi di 30 consiglieri regionali in un solo colpo, con le loro buste paga e i loro vitalizi, determinerebbe un beneficio inimmaginabile per le casse della Regione. E non solo per quelle. Lo stesso discorso vale per l’abolizio - ne degli inutili Consigli di amministrazione degli Enti Regionali, quasi sempre assegnati con logiche di spartizione politica, senza mai guardare alle capacità e alla professionalità di chi è chiamato a prendervi parte. Insomma, si tratta di poltrone da assegnare agli amici e ai trombati. Farne a meno è un atto di salute pubblica e di pulizia amministrativa. Infine i quesiti più politici, entrambi consultivi: l’elezione diretta del Presidente della Regione, previa scelta dei candidati con le primarie e l’assem - blea costituente per riscrivere lo Statuito. La vittoria dei sì in entrambi i quesiti avrebbe solo un valore simbolico perché riporterebbe le due questioni all’interno di quel palazzo che da anni non riesce a fare nessuna delle due cose. Per come sono andate le cose fino a oggi non c’è da essere fiduciosi. Sembra che ci sia qualche allergia dalle parti di via Roma a Cagliari ad affrontare il tema delle riforme. Certamente il manifestarsi di un’opinione del corpo elettorale in quella direzione non potrebbe essere ignorata dai nostri onorevoli. Insomma, forse non cambieranno la Sardegna (perché prima bisogna cambiare i politici e la loro mentalità), ma i dieci quesiti referendari meritano l’attenzione delle grandi sfide. Il comitato promotore è stato coraggioso, persino ambizioso. Adesso spetta ai partiti accettare la sfida del cambiamento o almeno di un suo inizio. Occorre farlo con umiltà, mettendosi al servizio delle buone idee e dei buoni propositi. La risposta migliore che la politica potrebbe dare da qui a qualche mese sarebbe quella di approvare immediatamente qualche norma oggetto dei quesiti referendari. Ma non lo farà. Non ne ha la forza, l’autorevolez - za e la credibilità. Per questo meglio dare la parola ai cittadini, con la speranza che almeno loro siano più illuminati di questa sgangherata classe dirigente. La Sardegna non ha più tempo da perdere.