Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

La tragedia del Dc9: una storia da riscrivere

Fonte: L'Unione Sarda
6 dicembre 2011

Nel 1979 morirono 31 persone nello schianto sui monti di Capoterra

Mostra con dibattito giovedì a Cagliari

Un centinaio di scatti per raccontare la storia di una sciagura aerea. Costituiscono la mostra fotografica e documentaria che giovedì alle 18 sarà inaugurata a Cagliari, nel sottopiano Search del Palazzo Civico, largo Carlo Felice 2. Ideatore, organizzatore e curatore dell'esposizione, che propone immagini d'epoca, recuperate dalle cronache dei giornali e dai fascicoli giudiziari, e si chiuderà il 17, è il giornalista Angelo Pani. In concomitanza con la manifestazione, alle 18 un incontro-dibattito vedrà protagonisti il cronista, Leonardo Filippi, professore ordinario di Diritto processuale penale all'Università di Cagliari, e il comandante pilota dell'Alitalia Giovanni Nurchi.

C'è una storia da riscrivere. Ed è una storia importante. Quella del Dc9 dell'Ati che il 14 settembre del 1979 si schiantò sui monti tra Sarroch e Capoterra. Una vicenda tragica che si è lasciata appresso 31 vittime e l'inconsolabile dolore di chi quella notte perse genitori, figli, parenti, amici. Di quella sciagura sono stati ritenuti colpevoli i piloti e il controllore di volo ma ora, 32 anni dopo, si è scoperto che anche il gestore dell'aereo potrebbe aver avuto un ruolo nella tragedia. Non tutte le apparecchiature di bordo, infatti, funzionavano alla perfezione. Il radioaltimetro, il rilevatore della distanza tra l'aereo e il suolo, quella notte avrebbe potuto evitare la sciagura in quanto avrebbe dovuto segnalare il pericolo fin dal primo momento in cui l'aereo aveva cominciato a sorvolare le montagne. Avrebbe dovuto mettere in azione una sirena, invece rimase muto.
Qualcosa, su questo punto, era noto: si sapeva che lo strumento era fuori uso quando il Dc9 si levò in volo da Linate (la rotta era Milano-Pisa-Alghero-Cagliari-Roma) ma il problema si risolse durante il volo e, pertanto, durante l'inchiesta, l'episodio venne ritenuto di scarso rilievo. Ora si è scoperto che il radioaltimetro del comandante e quello del copilota (l'aereo, come è ben noto, ha due posti di guida, ciascuno dei quali ha una strumentazione completa e autonoma) avevano problemi quasi tutti i giorni. E, quella notte, nessuno dei due radioaltimetri trasmise l'impulso che avrebbe dovuto far entrare in azione il segnale acustico. Una sirena lacerante, il massimo dell'allarme, perché il Dc9, poco prima di schiantarsi sul monte Conca d'Oru, aveva sorvolato un'altra cresta rocciosa passandovi 150 metri sopra.
Il pilota al comando del Dc9 dell'Ati volava basso sulla pianura tra Uta e Capoterra. Manteneva una quota costante di 600 metri per evitare di infilarsi tra le nubi. Andava avanti, ritardando la virata a sinistra verso il mare che l'avrebbe portato in direzione dell'aeroporto. Cercava un varco nel fronte temporalesco e non si rendeva conto che si avvicinava sempre di più alle montagne. Volava a vista il comandante Salvatore Pennacchio, nonostante fosse una notte senza luna flagellata dalla pioggia. Voleva atterrare a Elmas fidandosi di ciò che vedeva con i suoi occhi ma era nero il cielo e nero il suolo sotto di lui e in quella notte senza luci finì sulla cima rocciosa di un monte. È questa, ridotta all'essenziale, la storia della sciagura aerea avvenuta tra Sarroch e Capoterra il 14 settembre 1979, la più grave tra quelle accadute in Sardegna. Il pilota sbagliò rotta e andò verso i monti credendo di essere sul mare. Sbagliò il controllore di volo che non lo corresse. Ma, se il radioaltimetro avesse funzionato regolarmente, quegli errori potevano non essere fatali.
Il rilevatore della distanza tra l'aereo in volo e la terra, solitamente, viene utilizzato soltanto durante l'atterraggio in quanto, segnalando il progressivo avvicinarsi al suolo, indica al pilota il momento in cui deve azionare i vari dispositivi per un regolare contatto con la pista. Nelle altre fasi della traversata resta inoperoso. Questo, se il volo procede regolarmente. Ma se, durante il viaggio, la distanza tra il velivolo e il suolo si riduce al di sotto della soglia di sicurezza, il radioaltimetro deve azionare autonomamente un segnale di pericolo.
Controllando sulla carta la rotta seguita dall'aereo, si rileva che l'allarme sarebbe dovuto entrare in azione un minuto e mezzo prima dello schianto, quando il Dc9 si scostò dalla pianura e cominciò a sorvolare i monti senza che il pilota se ne rendesse conto. Ma non accadde nulla di tutto ciò. I rumori registrati nel cockpit voice recorder, la scatola nera, non lasciano margini al dubbio: nessuna sirena entrò in funzione sull'aereo che arrivava da Alghero. Il registratore di bordo non segnalò neppure il suono di un esile cicalino. Quella notte, il radioaltimetro non diede l'impulso che avrebbe dovuto azionare la sirena. Come è potuto accadere?
A darci preziose informazioni sul perché il segnale d'allarme non entrò in funzione è un brogliaccio, per l'esattezza ilQuaderno tecnico di bordo, il registro dove i piloti annotano gli inconvenienti riscontrati durante il volo. Questo documento, che è stato ritrovato quasi intatto tra i rottami dell'aereo ed è finito tra gli atti dell'inchiesta, riporta una serie sconcertante di segnalazioni che hanno interessato i due radioaltimetri dell'aereo: dieci guasti nei dodici giorni che precedettero la tragedia. Ora, se le anomalie si ripetevano così frequentemente, per quanto i guasti venissero riparati, è corretto considerare quel Dc9 un aereo sicuro e pienamente affidabile? Grazie alle informazioni fornite dal Quaderno tecnico di bordo, sappiamo che il radioaltimetro del Dc9 non funzionava a dovere e si guastava quasi ogni giorno. Ma c'è di più: anche la sera del 13 settembre, poche ore prima della sciagura, il radioaltimetro del comandante aveva smesso di funzionare. Se ne era reso conto, al momento della partenza da Milano, il pilota che aveva preso i comandi del Dc9 da Linate ad Alghero. Qui era avvenuto il cambio di equipaggio. Il pilota, ascoltato dai giudici, spiegò che non annotò il guasto nel Quaderno tecnico di bordo in quanto si era accorto che le lancette avevano ripreso a funzionare poco prima dell'atterraggio a Fertilia. Due ore dopo, l'aereo si schiantò sui monti di Capoterra senza che il radioaltimetro segnalasse alcun problema.
Angelo Pani

 

L'inchiesta sulla sciagura
Il fattore umano
e i guasti
della macchina
Lo chiamano fattore umano, è la formula magica che consente di dare un senso a tutti gli accadimenti tragici legati all'attività dell'uomo. Un binomio che copre tutto senza spiegare niente. Viene citato negli incidenti sul lavoro e serve per ribadire che la macchina è perfetta e, se la mano dell'operaio è finita tra gli ingranaggi, è soltanto perché l'uomo si era distratto. Non diversamente è andata col Dc9 dell'Ati. Nessuno, finora, ha mai messo in discussione quell'aereo e le sue apparecchiature. Se il velivolo si è schiantato sui monti tra Sarroch e Capoterra è stato solo per l'imperizia dei piloti e per la negligenza del controllore di volo.
Nel corso dell'inchiesta, la trascrizione dei dialoghi registrati a bordo dell'aereo prima dello schianto ha messo in luce un particolare inquietante: il comandante Salvatore Pennacchio si era accorto che il radioaltimetro non funzionava e lo aveva spento pronunciando queste parole: “Oh, c'è il radioaltimetro che non funziona, io lo spengo, chi se ne frega”. E aveva schiacciato l'interruttore imprecando.
Quel gesto e quelle parole, interpretati unicamente in senso accusatorio, sono stati liquidati come la prova della superficialità e dell'imperizia del pilota. La strumentazione dell'aereo - si disse, e questo giudizio viene ripetuto ancora oggi - gli aveva segnalato il pericolo e lui, incosciente, aveva spento il rilevatore ed era andato avanti verso la cima di Conca d'Oru.
Ma l'ascolto dei dialoghi a bordo del Dc9 raccolti dalla scatola nera avrebbe dovuto invitare alla cautela e consigliare prudenza nell'emettere giudizi. Quella registrazione, infatti, ci dice una cosa molto importante: l'apparecchio era silenzioso quando il comandante disse che era guasto. Quindi, non segnalava alcun pericolo nonostante l'aereo, in quel momento, sorvolasse già i monti. E, se non aveva segnalato alcun pericolo, significa che era realmente fuori uso. Egualmente muto era il radioaltimetro del copilota che era rimasto acceso. Entrambi guasti? La coincidenza non deve sorprendere, vista la frequenza con la quale i due strumenti andavano fuori uso.
Il grado di affidabilità dei radioaltimetri montati sui Dc9 è stato messo in dubbio anche in riferimento a episodi che hanno coinvolto altri aerei dello stesso tipo. Ma non si è mai arrivati alla messa al bando di quel modello di apparecchiatura. La sciagura di Capoterra sarebbe potuta servire per evitare altre simili tragedie. Invece, nessuno ne ha tratto insegnamento. Secondo quanto riferisce il comandante pilota Adalberto Pellerino nel suo libro “Trappole nel cielo”, l'inchiesta della Commissione ministeriale insediata dopo l'incidente è stata chiusa nel 1990 (undici anni dopo!) senza che venissero depositate le conclusioni. Perché- spiegarono i periti - erano perfettamente inutili essendo trascorso troppo tempo dall'incidente.
A.P.