Manifestazione imponente per lo sciopero generale indetto da Cgil, Cisl e Uil Lavoratori da ogni parte della Sardegna. Regione sotto accusa: «È ora di cambiare»
di ALBERTO URGU a.urgu@sardegna24.net
CAGLIARI. Può bastare una manifestazione, per quanto imponente e partecipata come poche altre volte in passato, a cambiare il corso delle cose in Sardegna?. Sembrano interrogarsi soprattutto su questo i tanti lavoratori, pensionati, studenti che intorno alle 13 scorrono nel Largo Carlo Felice, al termine dei discorsi dal palco di Piazza Yenne che hanno concluso questo sciopero generale dell’undici novembre. Un corteo enorme, che ci mette più di due ore a muoversi del tutto, che sembra non finire mai, con la coda che comincia a muoversi da Piazza Giovanni XXIII, quando la testa è già arrivata da diversi minuti in Piazza Yenne. Alla fine, secondo Cgil, Cisl e Uil, saranno oltre 60mila a sfilare, in maniera composta e pacifica, quasi educata verrebbe da dire. Perché, seppure nella grande rabbia e frustrazione, negli slogan scanditi a voce alta e nei manifesti pittoreschi e ironici, è sembrata quasi una manifestazione consapevole più che arrabbiata. Perché la difficoltà del momento si percepisce, a tutti i livelli, almeno quanto la voglia di cambiare.Ele adesioni istituzionali allo sciopero dimostrano la particolarità del momento.Ci sono praticamente tutte le sigle, sindacali e di categoria. Manca solo la Confindustria, ma idealmente è qui anche il mondo delle imprese, che insieme ai sindacati ha presentato recentemente un documento durissimo sulla situazione economica sarda. «Fatevi da parte» recita uno striscione degli studenti, presenti in gran numero, sia universitari che delle scuole superiori. Ci sono i ragazzi eroici di due licei di Olbia, che sono partiti alle 5:30 del mattino per essere a Cagliari alla partenza del corteo. Gli studenti sono nella parte centrale del serpentone, ne rappresentano il cuore colorato e rumoroso. «Berlusconi come Gheddafi» intonano quelli del Liceo classico Dettori di Cagliari, insieme all’invito a Ugo Cappellacci di emulare il premier nella consegna delle dimissioni. Al quasi ex presidente del Consiglio è dedicato anche il simpatico striscione del Partito democratico «I ristoranti sono pieni ma la Caritas di più».
Ci sono anche i giovani di «Ora tocca a noi», protagonisti della campagna elettorale di MassimoZedda, che organizzano un nuovo flash mob dedicato alle dimissioni possibili del presidente Ugo Cappellacci. Ela politica, naturalmente, è la grande imputata della giornata di ieri, cui arriva «l’ultimo monito » da parte dei sindacati.Unapolitica che, come spiega don Pietro Borrotzu della Pastorale per il Lavoro «manca di iniziativa propria, madeve essere continuamente richiamata ai propri doveri, come stiamo facendo oggi. La Sardegna è come un malato terminale, cui bisogna somministrare una flebo. Abbiamo bisogno che la politica sarda ricominci a risolvere realmente i problemi della nostra Isola». Politica che, almeno nel settore dell’opposizione alla Giunta regionale, è presente al gran completo. Il gruppo delPdin consiglio regionale, guidato da Giampaolo Diana, che parla di «manifestazione straordinaria e più partecipata delle precedenti, perché le condizioni sono ulteriormente peggiorate. A mancare, ormai da mesi, è l’azione del governo regionale». Secondo Diana la risposta che arriva dalla Giunta Cappellacci in un momento drammatico comequesto «è una manovra finanziaria, che ancora non c’è, ma che sappiamo non essere stata concordata con le parti sociali». Manovra finanziaria che ora arriva all’esame dell’Aula, dove l’opposizione è pronta a fare la sua parte, ma non a d ogni condizionecomespiega Luciano Uras, di Sinistra ecologia e libertà«Sappiamo che non ci sono praticamente risorse manovrabili. Noi siamo disponibili a collaborare con la maggioranza,ma solo per una finanziaria che realmente aiuti la Sardegna». Per Uras la manifestazione di ieri può comunque rappresentare una svolta «Una giornata bellissima, che può realmente aprire la strada al cambiamento». Dietro il grande striscione che apriva il corteo, con lo slogan scelto da Cgil, Cisl e Uil «Adesso basta», a sfilare sono i rappresentanti delle province e i sindaci della Sardegna con quello di Cagliari, Massimo Zedda, tra i più applauditi. I comuni, piccolo e grandi della Sardegna, stanno soffrendo la doppia tenaglia dei feroci tagli imposti dal ministro Tremonti e dall’impossibilità di spendere i fondi, a causa dei vincoli del patto di stabilità. Il primo cittadino di Sestu, Aldo Pili, racconta sconsolato di avere milioni di euro di residui passivi edi nonpoterli nemmeno toccare. Una situazione paradossale. Poco dopo gli amministratori locali sfilano in caschi colorati degli operai chimici e metalmeccanici, quasi tutti in cassa integrazione, dell’industria sarda.
Una catena di nomi diventati negli ultimi anni tristemente noti, non per i loro prodotti, maper una serie infinita di vertenze ancora aperte e a cui non si riesce a dare una risposta. Rockwool, Fluorsid, ExIla, Carbosulscis, Portovesme srl, Eurallumina, Alcoa, Vynils. . Quella cheuntempoera la grande industria, nel Sulcis come nel Nord, ora è solo un cimitero di impianti fermi e di lavoratori senza lavoro.Una epidemia che non si ferma e che ormai contagia tutti i settori dell’economia isolana e che ieri a Cagliari erano visibili, come in un album fotografico. I marinari della nave degli indignados della Enermar ancorata al porto di Cagliari, le donne di Irs in sciopero della fame sotto il palazzo di viale Trento, i precari dei centri del lavoro di Sassari, gli Lsu dei comuni e delle province , i lavoratori della pubblica amministrazione. I ricercatori universitari, i precari della Scuola, anche i giovani scienziati del CRS4, gli insegnanti e perfino i medici. I movimenti anti Equitalia, che appenaungiorno prima erano scesi in piazza, insieme ad una enorme delegazione degli artigiani della CNA, che attraversano le vie del centro di Cagliari, dove le serrande abbassate sono un’altra delle immagini forti della giornata. Alcune proprio in occasione dello sciopero generale, ma molte altre per cessata attività. Anche questa una strage silenziosa della nostra economia. Tutti insieme, per dire basta alla crisi e per chiedere lavoro, garanzie, futuro in alcuni casi. Fate presto, verrebbe da aggiungere allo slogan scelto dai sindacati. Perché il presidente Cappellacci, che ha incassato nuovamente la fiducia della sua maggioranza, deve dare risposte ad una Sardegna, scesa ancora una volta in piazza. E lo deve fare in fretta.