Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

L’associazionismo salverà i giovani

Fonte: La Nuova Sardegna
4 ottobre 2011



La legislazione europea sulle politiche giovanili nell’isola è lettera morta



Nell’Ue si fa impresa già a 20 anni, qui non si riesce a iniziare prima dei 30, 40 Quattro le scelte urgenti

ALESSANDRA SALLEMI

CAGLIARI. C’è un’icona della forza giovanile di tutti i tempi: il ragazzo cinese non ancora ventenne, gracile nella casacca unisex, solo, ma fermo, davanti al carrarmato di piazza Tiennamen di Pechino. Storia lontana, ben nota ormai ai padri dei ragazzi che ieri si sono presentati numerosi al Thotel per testimoniare di una rinascente forza del mondo giovanile.
L’incontro coordinato dal giornalista di Radiopress Nicola Muscas è stato organizzato da alcune associazioni giovanili cagliaritane e dalla Cgil per parlare di politiche giovanili. Non c’era una sedia vuota nel salone del Thotel, tanti ragazzi e giovani adulti hanno ascoltato i relatori che descrivevano una condizione simile alla prigionia tra presente precario e futuro negato. La riunione di ieri, però, non era uno sfogatoio bensì un luogo dove disegnare alcune strade d’uscita da una crisi che non è stata causata dai giovani, ma che verrà pagata per intero da loro. Dunque, quale valico scegliere per entrare nel mondo del lavoro. Ieri in vari interventi è stato presentato un grande strumento: l’associazionismo. «In altre nazioni - raccontava Giulio Loi di Yousardinia associazione di promozione della Sardegna all’estero - i ragazzi già alle superiori fanno attività soprattutto nelle associazioni, accettano anche di rallentare il corso di studi perché la formazione che ricavano è importante e fa curriculum. Ormai in tutta Europa il no-profit dialoga col profit». Marco Meloni rappresentante del gruppo universitario Unica.it: gli studenti universitari sono 32.432, ma non c’è consapevolezza della loro importanza per la città. «L’università è divisa in tanti edifici poco collegati ai servizi urbani, la didattica è spesso arretrata, lontana da strategie di approccio col mondo del lavoro. C’è carenza di alloggi, per 940 posti letto studenteschi ci sono 15 mila fuorisede, non ci costruisce una casa dello studente da 20 anni, il mercato nero dei fitti è gigantesco. Quale campus? La nostra priorità è averlo subito. Le mense sono fuori città, i bus sono pochi e pieni e costano più che in altre città. Non ci sono spazi dove i giovani possano sentirsi cittadini. E’ vero che qualcosa sta cambiando, noi proponiamo che le amministrazioni creino tavoli che parlino di politiche giovanili». Emanuele Frongia, Confesercenti: «In Europa i giovani che cominciano a fare impresa hanno tra i 20 e i 25 anni, in Sardegna hanno fra i 30 e i 40 anni, la disoccupazione giovanile è al 48 per cento. Iniziando presto a fare impresa c’è voglia di rischiare ma ci sono anche gli strumenti (finanziari, europei) per sostenere il rischio. Innovazione è una parola chiave: non si può restar fermi sull’idea di aprire un bar. Molta responsabilità ce l’ha la burocrazia: in Estonia per avviare un’impresa si prende una tesserina all’ufficio postale e si fa tutto via Internet, i controlli seguono». Nicola Cabras, responsabile del recente dipartimento Cgil delle politiche giovanili: «I giovani sono una risorsa, non un problema». Il punto è che la loro situazione è disperata e le famiglie funzionano da ammortizzatore sociale. Non c’è dubbio che le nuove generazioni vadano «liberate dal ricatto di chi li vuole disposti a tutto pur di lavorare e propone contratti truffa. La stabilità è condizione di libertà e poi bisogna immaginare percorsi per rendere i giovani competitivi. Associazionismo e volontariato sviluppano competenza, le politiche giovanili devono essere pilastro della politica, a Bergamo e Padova hanno organizzato spazi dove i giovani stanno assieme per fare promozione della mobilità internazionale e per creare strumenti. Quattro i punti fermi: ci vogliono criteri oggettivi per assegnare risorse; bisogna poter disporre di spazi pubblici; ci vogliono luoghi per i soggetti attivi per creare un polo di sviluppo delle politiche giovanili; le istituzioni devono aprire tavoli di confronto con chi le politiche giovanili le fa».

 

LA CURIOSITA’

E da Jerzu ecco l’esempio


 


L’esempio arriva dal cuore della Sardegna. Il Comune di Jerzu ha un assessore alle Politiche giovanili (Gianluigi Piras), un capitolo del bilancio con un titolo esatto: è dedicato infatti alle politiche per l’associazionismo, la formazione e l’occupazione giovanile. Spiegava Piras: sono stati identificati alcuni problemi e si perseguono le soluzioni. Piras ha mostrato bene come l’arretratezza sia tutta nostra: in Europa c’è già da dieci anni una legislazione sulle politiche giovanili, «si tratta di documenti interessanti perché indicano 8 competenze chiave da promuovere nei giovani». A livello nazionale e regionale non c’è una legislazione, «che invece è imprescindibile» per elaborare strategie e ottenere risultati. Qualche strumento per i giovani c’è, ma rientra negli accordi di programma quadro. L’ex assessore comunale, Paolo Carta, Udc, ora consigliere di opposizione: le politiche giovanili sono una sorta di riserva indiana. Carta ha ammesso che in consiglio sono entrate oggi nuove energie e che «la carica di innovazione deve essere già nel Comune». Infine, sulla burocrazia-mostro: la soluzione è digitale.