WALTER PORCEDDA
Sapete cos’è un caffè sospeso? No, niente acrobazie impossibili di liquidi e tazzine bensì una bellisima tradizione e auspicio di buona fortuna tempo addietro in uso nei bar di Napoli. Come spiegava qualche anno fa Luciano De Crescenzo, quando «una persona stava su di giri e prendeva un caffè al bar, invece di uno ne pagava due. Il secondo lo riservava al cliente che veniva subito dopo. Detto con altre parole era un caffè offerto all’umanità». Così qualcuno s’affacciava al bar e chiedeva se ci fosse per caso un “sospeso”...
Il rito è stato ripreso di recente ed è poi diventato prassi al Caffè Royal di Lampedusa. Rinato proprio nei giorni caldi degli sbarchi dei profughi in fuga dal conflitto libico e degli immigrati africani. Un caffè offerto come atto di solidarietà fraterna e messaggio di apertura e disponibilità al dialogo.
Questo gesto di forte simbologia sarà rilanciato il prossimo 14 novembre in tutta l’Italia («speriamo in almeno 15 città» come hanno annunciato domenica mattina gli organizzatori) per festeggiare il primo anno di attività della la Rete dei sette Festival di cultura letteraria che dal Nord al Sud dell’Italia è nata attorno a parole d’ordine coincidenti con i temi praticati dalle rassegne: dall’attenzione ai beni ambientali alla solidarietà, l’accoglienza, l’immigrazione e il recupero della memoria storica.
Temi da sempre al centro di Marina Cafè Noir, membro fondatore di questa Rete e primo festival di letterature applicate in Sardegna che proprio domenica sera a tarda ora nel centro storico di Cagliari ha chiuso con una festa popolare al ritmo delle note speziate di musica kletzmer, suoni macedoni e bandistici italiani degli esuberanti Bandaradan di Torino che hanno coinvolto nelle danze i centinaia e centinaia che fino ad allora hanno seguito con attenzione i dibattiti, le mostre e gli incontri.
Ed è proprio l’incontro della Rete del Caffè Sospeso, che riunisce, oltre a Mcn anche il Lampedusa Festival, Riace festival, S/Paesati di Trieste, Val Susa filmfest e il festival dei Diritti umani di Napoli presieduto da Chiara Sasso che, oltre a presentarsi ufficialmente con un programma di collaborazioni e coproduzioni ha dato il via domenica mattina in piazza Savoia all’ultima giornata di un festival ricco di idee e spunti, con un programma trasversale e imprevedibile che ha messo assieme scrittori e maitre a penser, musicisti, attori e poeti in un formidabile meltin pot culturale che ha raccolto nei quattro giorni la frequentazione di trentamila persone circa.
Un torrente continuo di curiosi a tratti diventato fiumana con le esibizioni dei travolgenti Ratapignata sabato o il live di Gianmaria Testa venerdì. Una folla variopinta si è riversata così nelle vie della Marina, rione diventato proprio per merito di Mcn, quartiere simbolo dell’iniziativa culturale popolare. Trasformatosi da quartiere degradato e off limits in isola (in alcune vie anche pedonale) d’accoglienza tra ristoranti, caffè, gallerie d’arte e librerie. Un miracolo non sempre compreso e un’iniziativa, quella dei Chourmo, scarsamente finanziata, completamente gratuita e realizzata in modo volontario, non supportata in modo adeguato nè dai primi fruitori (molti operatori commerciali del posto) nè dalle istituzioni pubbliche, con i propri rappresentanti capaci solo di lanciarsi spesso in fumosi e pasticciati discorsi.
Molto meglio lasciarsi guidare dall’istinto per seguire il dedalo di imperdibili esposizioni: da quelle fotografiche di Dondero, Lucas, Gafic e quella di Henry Cartier Bresson dedicata alla Sardegna o quelle di disegni e comics di Gabos, Valentinis, Eloisa Cartonera, la collettiva di Vincino, Altan e altri su Lampedusa e quella del Gambero nero.
O lasciarsi sedurre dai ragionamenti e dalle deduzioni raccontate in perfetto italiano da Serge Latouche, teorico della decrescita economica e di un’altra possibile vie d’uscita alla crisi economica, seguito incredibilmente per oltre un’ora e in religioso silenzio da oltre mille persone.
Ma insieme a Latouche, vera stella dell’edizione altri hanno brillato di luce propria: da Thierry Fabre profondo conoscitore dei sommovimenti mediterranei al chitarrista Stefano Giaccone protagonista per pochi fortunati eletti di un set di musica e poesia con il poeta Marc Porcu, il chitarrista Giacomno Sferlazzo e il sassofonista Dimitri Porcu. E poi la consistente pattuglia dei sardi guidata da Antonello Salis, Michela Murgia, Carroni, Luciano Marrocu, Sciola, i De Grinpipol, Giacomo Casti, i lavoratori in lotta della Rockwool e tanti altri ancora che hanno dato poi il senso vero di questo festival corsaro che mette tutti, grandi ed esordienti sullo stesso piano, senza rete in un confronto a tutto tondo con altre sensibilità e culture. A cominciare da quelle dell’area mediterranea, visto come mare di pace, scambio e convivenza.
Teatro, il punto di vista femminile
Parlano Carolina Della Calle e Iaia Forte
DANIELA PABA
Della crisi del teatro visto dalle donne si è parlato nell’ultima giornata di Marina Café Noir con Iaia Forte, Carolina Della Calle Casanova e Lea Gramsdorff. Carolina Della Calle Casanova è drammaturga e regista spagnola, che ha diretto Paolo Rossi in «Mistero Buffo». «Quando Rossi mi chiese di fare la regia io che lavoravo con lui da otto anni alla drammaturgia, rifiutai - racconta prima dell’incontro - “Ma sei pazzo”, gli risposi, io che ho trent’anni e non sono italiana devo confrontarmi col premio Nobel?”. Ma lui aveva necessità di qualcuno della mia generazione per attualizzare il testo. Pur essendo molto generoso è un guitto molto difficile da dirigere, perciò il patto è stato che doveva lasciarsi attraversare da ciò che gli dicevo e posso dire che ci siamo fatti delle belle litigate».
Quanto al teatro femminile dichiara: «La donna è entrata nella prassi teatrale nel’700 e tra Spagna e Italia non ci sono grandi differenze. Nei ruoli direttivi prevalgono le figure maschili in quelli esecutivi le donne. Le poche registe e attrici di successo hanno grande potenza e temperamento virile perché è troppo facile diventare da soggetto, oggetto. Ma ci sarà un ricambio».
I pensieri di Della Calle viaggiano nel suo blog: «Bisogna uscire dallo stereotipo dell’eterna Virginia Woolf. I personaggi femminili del’900 sono tutti votati al sacrificio, poi d’improvviso, con Ionesco, arriva la pazza. Non è una caso che gli autori dei drammi siano maschi. Allora abbandoniamo i martìri e sposiamo l’idea di una donna felice. La donna ha sempre avuto la capacità di ridere e sdrammatizzare, perché già il suo contributo di dolore lo dà mettendo alla luce l’uomo, come diceva Carmelo Bene. Sdrammatizzare, senza mai cadere nel cinismo».
Dello stato di salute del teatro italiano si è parlato a proposito del libro «La commedia è finita» di Della Calle e Paolo Rossi, e se la Milano di Pisapia è vista come isola felice per Forte «Roma è un disastro totale. Per me, nata con la ricerca ora che anche il teatro pubblico si trasforma in privato tutto è asservito alle leggi dell’economia. E’ vero che i contributi pubblici hanno creato molti mostri ma in un paese devastato culturalmente come è oggi l’Italia il teatro non riesce a reagire alla logica del teatro commerciale».
La crisi del teatro è anche crisi della vocazione, una crisi di senso. «Non credo nella differenza tra maschile e femminile, dipende dal carattere della persona - ha specificato l’attrice napoletana - dagli obiettivi di ciascuno. Oggi il desiderio di fare teatro viene confuso col successo, staccato dalla tecnica, dallo studio. L’obiettivo, il sogno, è la fiction televisiva. Per me che ho esordito con Toni Servillo il rapporto con la vocazione è costante. Ogni giorno mi chiedo se ha senso per me oppure no quello che faccio».