Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Ciak si vola

Fonte: L'Unione Sarda
9 agosto 2011



L'atmosfera è quella da set. Le facce assorte e le voci secche della troupe ricordano a tutti che sarà bello, sarà magico, ma il cinema è prima di tutto una cosa seria. Un lavoro. Un investimento.
Attorno, sotto un sole che spacca tutto ma non la voglia di stare lì, sull'oceano d'asfalto quasi liquido di via Magellano, una collezione di facce da comparse e vice-comparse, protagoniste e mamme emozionate, curiosi, sfaccendati, cinefili del lunedì e signore che il pranzo a questo punto lo prepareranno dopo. Tutti con un sorrisone fin qui, sudacchiati, pieni di euforia da cinepresa, il cellulare pronto a scattare un mms ricordo, un aneddoto da sfoderare, un'opinione sul film che fa bene al quartiere perché combatte i pregiudizi, o forse no perché alimenta i luoghi comuni ma insomma sempre meglio che se ne parli: tutti lì a godersi il set e quella sua polverina dorata di allegria, di incanto, di sospensione.
Perché sarà anche un lavoro, una cosa seria, un investimento. Ma il cinema prima di tutto è magia.


E c'è un quartiere alla finestra già dalle sette del mattino per vedere all'opera Salvatore Mereu, lo stregone venuto da Dorgali a Sant'Elia per far rivivere l'arte di un altro sciamano, Sergio Atzeni, creatore di storie e di emozioni. Atzeni diede una vita di carta e di inchiostro alle sue Mariposas, due preadolescenti della Cagliari periferica che si muovono lievi sullo squallore quotidiano, sfarfallano smaliziate ma romantiche sul bullismo e sulla libidine, sul cemento e sui sassi. Atzeni le sorprese un sospiro prima della giovinezza, un istante prima che la vita vera le acchiappasse: una presa lieve che spesso non strappa, non schiaccia, ma toglie per sempre dalle ali quella polverina colorata che permette di volare.
Mereu ha preso quelle vite d'inchiostro e da ieri mattina è al lavoro per farle diventare due esistenze di luce e colore, che sarebbero gli ingredienti del cinema. Ma anche di carne e ossa, che sarebbero gli ingredienti di cui sono fatti attori e attrici.
Cate, la prima mariposa che svolazza in maglietta a righine e hot pants di jeans per le scale condominiali di via Magellano, ha la faccina vispa di Sara Podda. Per l'esattezza Sara è «briosa, spontanea, di un'energia contagiosa». Sarà il caso di fidarsi visto che a dirlo è la mamma, che appena fuori dal cerchio magico del set la cova con lo sguardo, il sorriso che un po' palpita di apprensione: l'ansia da debutto prende vie misteriose, quello di Sara si è materializzato in forma di mal di denti e l'ha tenuta sveglia fino alle 4 del mattino.


L'altra mariposa, Maya Mulas, è a un battito d'ali di distanza, maglietta e bermuda blu, gli occhi di un celeste artico come quelli che le tiene addosso sua madre, che segue le riprese spalla a spalla con la mamma di Sara. Fino a qualche settimana fa queste due signore non si conoscevano, oggi trepidano all'unisono per una smorfia del regista, per l'ennesima parolaccia della sceneggiatura, per la faccia scura di una signora che confabula con un aiutante di Mereu e scuote la testa, categorica. Sarà successo un guaio? Ci sono nubi all'orizzonte? No, è che «Mereu è stato chiarissimo: fino alla fine delle riprese non una meche, non un ciuffo schiarito, non un colpo di sole».
Ben detto. Anche perché quanto ai colpi di sole, non saranno quelli a mancare stamane a Sant'Elia. L'astro che alle 10 pestava come un fabbro, due ore dopo tortura come un sadico. Picchia sulle attrici farfalline, sul sorriso smagliante di Susanna Mantega-“Signora Cotzas”, sui foruncoli e le pettinature a cresta dei teenager scritturati dalla produzione per impennare in scooter e interpretare se stessi, la generazione a vita bassa. E non è solo una questione di jeans.
Bloccato dalla security oltre il cavalcavia dello stadio, per non invadere il campo dell'obiettivo che ora insegue le mariposas alla conquista di un autobus, un plotone di residenti aspetta e suda in disciplinato silenzio. Finché un signore sui settanta, canotta e infradito, braccia arrese lungo i fianchi con le buste della spesa penzoloni, si informa polemico col vigilante: «Oh capo, ma ita funti girendi , Mezzogiorno di Fuoco?».
Boato di consenso dai compagni di sudata. E mentre Mereu lavora alla sua magia, un fiato di vento gli sparge addosso la polverina iridescente dello sghignazzo popolare. Anche ridere di cuore sotto un caldo così è un miracolino. Di buon auspicio.
Celestino Tabasso