Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

S. Elia: «Uno su quattro vive di droga»

Fonte: L'Unione Sarda
29 agosto 2008

L'inchiesta. Dopo gli arresti, i venditori vengono rimpiazzati in meno di mezz'ora 

Tremila “impiegati” nello spaccio, mantenute intere famiglie
Floris: «Un commissiariato? Meglio far partire il progetto del porticciolo, per creare attività produttive».
Ci sono i pusher di strada e le vedette. Poi i corrieri e quelli che mettono solo a disposizione il motorino per gli spostamenti. Oppure chi dà un passaggio agli spacciatori per una “commissione” o chi nasconde in casa una busta di cocaina per qualche giorno, sperando che i carabinieri non bussino alla porta proprio quel giorno. Ma chi guadagna di più sono i capiscala, i ras del palazzo, che mettono in tasca migliaia di euro al giorno e li rinvestono in case e attività imprenditoriali. Un sistema che a Sant'Elia coinvolge almeno 3.000 persone, direttamente o indirettamente. Su quasi 12 mila abitanti del quartiere. Uno su quattro vive, o sopravvive, grazie allo spaccio.
UNO SU QUATTRO «È una stima attendibile, centinaio più, centinaio meno», sottolinea Oreste Barbella, numero uno della squadra Mobile della Questura. Secondo il dirigente, una buona parte del prodotto interno lordo del rione arriva dalla droga: «A Sant'Elia ci sono intere famiglie che campano di questo». E dove più del 20 per cento dei residenti sono stipendiati o ricevono un “aiutino” dalla vendita di hashish, marijuana, cocaina ed eroina, è normale che le bocche restino cucite e che il lavoro per chi indossa una divisa diventi impossibile: «Indagare sugli spacciatori, sui pesci piccoli, per la Mobile è antieconomico. Noi dobbiamo tagliare i rami grossi. Ma per combattere veramente lo spaccio dei palazzoni non serve un'operazione di polizia. Serve un'azione culturale e urbanistica. È un fenomeno troppo diffuso, basti pensare che la droga è coinvolta nell'85 per cento dei reati commessi in città». Il business dei pusher è talmente radicato e ben strutturato che anche un commissariato nel quartiere non cambierebbe la situazione: «Un commissariato? Sarebbe inutile. Siamo già presenti sul posto con le volanti, ci sono i carabinieri della stazione di San Bartolomeo a poche centinaia di metri. No, non credo che servirebbe a risolvere il problema». Anche perché, arrestato uno spacciatore, se ne fa subito un altro: «Vengono rimpiazzati in mezz'ora», spiega Barbella.
E allora nei palazzi Bodano, Gariazzo e Magellano, i palazzoni , le casalinghe con buste della spesa al seguito sono costrette a far lo slalom tra i ragazzi che steccano “fumo” e smerciano cocaina. O a trovare il portone di casa occupato dalla fila dei clienti che arrivano da tutta la città.
«C'è un contesto dal quale è difficile uscire. Le soluzioni non possono certo trovarle gli abitanti. Lo spaccio è l'unico sistema che ha una grande porzione di comunità per vivere», è l'opinione del presidente di Circoscrizione Paolo Truzzu.
L'ABBANDONO Poi c'è la sensazione di abbandono, mista a quella di essere quasi una repubblica autonoma. «Mi capita spesso di sentire gli abitanti, quando devono sbrigare una pratica, dire “vado a Cagliari”, come se Sant'Elia non facesse parte della città. La soluzione? Bisogna avvicinare le istituzioni e seguire il programma di recupero del Cep: fate il confronto con 20 anni fa. Ora si è costruito attorno, ci sono i servizi. Ed è diventato un altro rione».
Ma l'anarchia dei palazzoni si basa soprattutto su una cultura dell'odio: «C'è molto antagonismo nei confronti delle forze dell'ordine», ammette monsignor Marco Lai, parroco di Sant'Elia.
«SPACCIO FUNZIONALE» «Ma non dobbiamo dimenticare che se quei ragazzi hanno un guadagno facile, e fanno quella che per certi versi si può definire una “dolce vita”, è perché questa situazione è funzionale alla città. Avere gli spacciatori, concentrati in un punto, poter comprare facilmente qualsiasi tipo di droga, fa comodo. Lo spaccio dei palazzoni non si basa certo su quei 20-30 tossicodipendenti del quartiere».
L'unica possibilità per far sparire i pusher dai ballatoi dei palazzi è una: «Mettere degli uffici pubblici nei pilotis. Area (l'ex Iacp, istituto autonomo case popolari), ha sempre detto di volerlo fare. Sono disposto a farci un centro parrocchiale. Solo così può cambiare Sant'Elia. E poi bisogna costruire, privatizzare. Non ci possono essere solo case popolari, bisogna diversificare le abitazioni».
LA SPERANZA DEL PORTICCIOLO Secondo il sindaco Emilio Floris, c'è una speranza chiamata porticciolo: «La riqualificazione del quartiere non deve essere solo di tipo edilizio, ma deve contenere anche delle prospettive sul versante sociale e trovare delle soluzioni che abbraccino le attività produttive. Il progetto del porto (contenuto all'interno dell'accordo di programma e ancora bloccato, ndr ), serviva proprio a quello. Quando si innescano certi processi si dà una sensazione della presenza dello Stato. Un commissariato? Sì, ma deve essere a corredo di un programma più complesso. Non serve solo la sorveglianza e repressione dei reati. Mi rendo conto che è troppo facile parlare, infatti bisogna agire: la zona franca, che la Regione dovrà sostenere di fronte al Governo, servirà a portare nuove attività produttive e dare un'alternativa allo spaccio». Che nel frattempo rimane la figura professionale più diffusa. Perché è la stessa città a volerlo.
MICHELE RUFFI

29/08/2008