Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Gigi, un colpo d'anfiteatro

Fonte: L'Unione Sarda
20 agosto 2008



Aun comune mortale per un certificato di esistenza in vita basta un impiegato dell'anagrafe. A Gigi Proietti servono una compagnia di attori, alcuni ballerini e 170 mila spettatori. Sono quelli che finora hanno applaudito “Di nuovo Buonasera”, lo show che il mattatore romano porterà sabato 30 all'anfiteatro romano di Cagliari. Uno spettacolo nato appunto «per far capire al mio pubblico che non ero morto», dopo il siluramento come direttore artistico del Brancaccio, il teatro romano che lo aveva visto in sella per sei anni. Due mesi di tutto esaurito nella tensostruttura scelta per sostituire lo storico palco della capitale: «Sono cose che ripagano dalle amarezze».
E visto che replica dopo replica e successo dopo successo i romani hanno dimostrato di aver capito benissimo che Proietti è vivo e si diverte insieme a noi, ora l'attore va a spiegarlo in giro per l'Italia. Isole comprese, e in particolare compreso il capoluogo sardo dove «si sta proprio bene: non lo dico per circostanza ma perché è vero, quando sono venuto a portare il mio spettacolo precedente mi sono trovato completamente a mio agio, in una struttura grande che però ti consente di avere il pubblico vicino, partecipe. E questo, per uno che fa il mio mestiere, è fondamentale».
Che Proietti dobbiamo aspettarci questa volta?
«Questo è uno spettacolo che guarda un po' al passato, direi, un'occhiata alla struttura classica del varietà con delle incursioni nell'avanspettacolo».
È andato a cercare in archivio?
«Mi incuriosisce il periodo di Petrolini, di Viviani, cose che non ho potuto conoscere per motivi anagrafici, ma che mi interessano. Certo, poi l'avanspettacolo da ragazzetto l'ho visto: andavamo per vedere le gambe, roba che se la fai oggi sembra l'equivalente erotico del mostrare un dito».
Quindi è un viaggio alla riscoperta dell'intrattenimento classico.
«Sì, anche questo. Ma poi in realtà sono tutti pretesti per cantare, ballare e ridere un po' insieme: sa, come costruttore di scalette non ho rivali, diciamocelo».
Stavolta non è un one man show: otto musicisti, cinque attori, sei ballerini ...
«E due figlie, Susanna e Carlotta».
Che fanno?
«Cantano. O meglio, una canta, l'altra canta ma si occupa un po' di tutto, è il mio jolly»
Il jolly di papà.
«Ecco, questo è il lato imbarazzante della faccenda: a vederle al lavoro con me tutti immaginano che godano di chissà quali privilegi, che in realtà non hanno e che sono le prime a non volere. No, la realtà è che lavorano tanto, come tutti, anche perché hanno ancora curiosità verso il mondo dello spettacolo».
A naso, si direbbe che anche il padre ha ancora qualche curiosità da togliersi.
«Altroché, se non fosse così avrei smesso da un pezzo. Il lavoro è una cosa seria, un impegno sacrosanto, ma se non c'è divertimento allora è meglio mollare, fare altro».
Una delle sue frasi più conosciute è la definizione del mestiere d'attore: una pacchia: ti diverti e ti pagano pure ».
«Sì, anche se questo vale soprattutto nella prima fase. Poi arrivano momenti più duri, la realtà si fa più complessa, ti rendi conto delle responsabilità che hai. E se permette, in un Paese come il nostro non è mica da tutti vedere e accettare le proprie responsabilità».
A proposito del nostro Paese: possibile che la satira non la tenti?
«Beh, non è che non l'abbia fatta. È che oggi forse più che satira politica in senso ampio si fa satira sui personaggi politici, sugli esponenti dei partiti. Non che ci sia da stupirsi, visto che spesso confondiamo i partiti con le istituzioni, però insomma...».
Non è roba stimolante.
«Sa, da noi in genere la satira si fa attraverso l'imitazione. Ci sono alcuni imitatori bravissimi, geniali, capaci di togliere l'anima ai personaggi che imitano: ecco, quelli li guardo volentieri e mi divertono molto. Ma la satira, se dobbiamo dare retta ai volumi e ai volumoni che sono stati scritti sull'argomento, dovrebbe avere la caratteristica dell'univocità: un epigramma, un sonetto e via, ecco che il segno è lasciato. Se invece diventa un appuntamento fisso a cadenza settimanale...».
Allora meglio nulla.
«Meglio nulla non direi: la satira in un Paese ci dev'essere, altrimenti vuol dire che abbiamo perso anche la capacità di prenderci in giro, e allora è proprio grigia».
Una domanda a tv spenta: quanto è pesante avere come alter ego il Maresciallo Rocca?
«Ma non è pesante per nulla, mi creda. Certo, succede che qualcuno per strada mi gridi “Ah Marescia'...” ma mica mi spiace: vuol dire che mi ha visto solo in tv, magari non a teatro».
E peggio per lui.
«Vabbè, ma se è per questo ci sono anche quelli che ancora mi chiamano Mandrake. Diciamo che i miei personaggi non sono passati inosservati, ecco».
CELESTINO TABASSO

20/08/2008