Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

“Ai confini del regno” con 15 giovani artisti sardi e piemontesi

Fonte: L'Unione Sarda
14 aprile 2011

UNITÀ D'ITALIA. Cagliari, Palazzo di Città


Chissà se suonavano valzer tipo Gattopardo, al gran ricevimento per l'Unità, nel 1861, quando Marianna Tola Cadello, dei baroni Tola, ballava con l'abito in voile di seta ecru con le mostrine tricolori. Eccolo in una teca, lo stesso abito, circondato da altri cimeli della vertigine unitaria, in dialogo con la stravaganza e la spregiudicatezza di un secolo e mezzo dopo. In dialogo con il tono scanzonato di quindici giovani artisti, sardi (Matteo Ambu, Alessio Carrucciu, Andrea Pili, Dario Costa, Valentina Daga, Antonella Muresu, Elisa Desortes, Marcello Nocera) e piemontesi, scelta conformata all'origine del Regno, a quel «profilo nazionale finalmente unitario, faticosamente modellato dal Regno di Sardegna a colpi di cannone», come ricorda l'assessore Pellegrini nel suo contributo al catalogo della mostra, già presentata a ottobre ad Ameno e inaugurata a Cagliari, nel Palazzo di Città, il 16 marzo scorso.
L'ultima sfida lanciata da Ercole Bartoli, con l'omonima fondazione, assieme all'associazione Asilo Bianco, non poteva che impalmare l'anniversario dell'Unità e farlo in grande stile, come solo certi notai, e una giunta comunale sensibile alle occasioni di sfarzo, sanno fare: cioccolatini tricolore in omaggio, dolci e vini e modella con abito tricolore, firmato sorelle Piredda. Questo il giorno dell'inaugurazione, con autorità militari presenti, galvanizzate dai cori dell'Inno cantato a squarciagola da stuoli di bambini in corteo per le strade di Castello, tutti con pettorina rossa e un numero dall'uno al mille. Finito il clamore del 16 e 17 marzo, resta, fino al 16 maggio, la mostra “Ai confini del Regno”. Che all'abito delle sorelle Piredda contrappone l'abito vintage di donna Tola e ai manufatti dei quindici artisti accosta cimeli originali, prestati da collezionisti. Proprio in questo dialogo sta l'originalità della mostra. Perché, non si capisce se per volontà o per quelle fortunate coincidenze che premiano gli arditi, si sono creati bizzarri rimandi di significati fra vero, originale, e falso, quel falso che sempre un'opera produce nello slittamento di senso che stabilisce, se funziona (altrimenti resta muta e autoreferenziale).
Consapevoli di questo, le curatrici, Alessandra Menesini e Francesca Gattoni, hanno disposto opere e cimeli fra le stanze dell'antico palazzo, fresco di dubbio restauro. Ma ciò che più colpisce è che spesso sono i materiali storici a diventare essi stessi opere: né, d'altra parte, è difficile capire il perché, se l'objet trouvé, alla base di Dadaismo e Surrealismo, è stata proprio quella rivoluzionaria e visionaria poetica che ha preso un orinatoio e lo ha fatto diventare opera d'arte. Non sono forse un'opera i bottoni da ufficiale d'artiglieria del reggimento “Cacciatori di Sardegna”, ordinatamente puntati su un calendario di cartoncino del 1858? Mentre altre opere sembrano cimeli. Fra queste, i disegni in tecnica mista del cuneese Enrico Tealdi, poetica trascrizione di rarefatti paesaggi, confini del Regno che diventano “traguardi”, in viva corrispondenza con i traguardi sperati dai migranti africani. E i rossetti-proiettile in ceramica argentata di Francesca Gagliardi di Novara, inseriti nella fascia portacartucce rossa, ha l'impatto di qualcosa di vero e lo smorzamento del fiore che esce dal cannone. Ma questo manipolo di quindici giovani dalle mille idee, che sulle ricerche contemporanee danzano, consapevoli ormai che è troppo duro il corpo a corpo con la realtà, offrono tutti un denominatore ludico e leggero. Spensierati come chi, nato negli anni '70 e '80, vive l'Unità d'Italia, e quello che ne è seguito, come fatto acquisito. Nemmeno tanto preoccupati che qualcuno lo metta in seria discussione.
RAFFAELLA VENTURI