Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Paolo Cevoli, cuoco in Terra Santa

Fonte: L'Unione Sarda
12 aprile 2011

L'attore romagnolo stasera al Massimo di Cagliari

“La penultima cena”: il mio monologo storico-comico-gastronomico

Come dicono molti da quelle parti i sardi e i romagnoli si somigliano. Magari i redditi e i servizi sono diversi però, conferma l'attore Paolo Cevoli, romagnolo purosangue, «le persone hanno delle cose in comune, una certa caparbietà, il gusto dell'ironia e della presa in giro, il fatto stesso che i sardi da pastori e i romagnoli da contadini hanno scoperto il mare solo abbastanza tardi. Poi sono dei patacca, come i romagnoli». Eccolo in Sardegna, dunque, per tre date del suo “La penuntima cena”: ieri a Sassari, oggi a Cagliari (ore 20,30 al Massimo) e domani a Macomer (al cineteatro Costantino). Una laurea in giurisprudenza e protagonista delle stagioni di Zelig con alcuni dei personaggi più amati dal pubblico (entrambi romagnoli: l'amministratore afasico Cangini Palmiro, assessore alle attività varie ed eventuali del Comune di Roncofritto e l'imprenditore Teddi Casadey, patron del “Glorioso Maialificio Casadey S.r.L.”, “lider” nel settore della maialistica) ma il suo regno è la nobile arte della ristorazione.
Cresciuto alla Pensione Cinzia, tra grigliate di pesce, lasagne e tagliatelle, braciolate, piadine («anche voi avete una specie di piadina, la spianata») e abbondanti libagioni. Imprenditore della catena ristorazione (sua per esempio l'idea del Fast Food Italy&Italy) è, oggi, consulente del settore: si definisce un ristoratore prestato alla comicità, tanto da considerare il cabaret un hobby. Ovvio che l'Ultima Cena potesse diventare uno spettacolo. Al centro della scena Paulus Simplicius Marone, chef de rang, come si sarebbe detto svariati secoli più tardi.
«Un romagnolo che, adottato, finisce a Roma e qui impara l'arte culinaria ma, a seguito di alcuni pasticci, è costretto a fuggire in Palestina. Qui a un matrimonio a Cana fa l'incontro della sua vita, Gesù. Decide che deve diventare suo socio. Anche perché muove ogni volta tanta di quella gente che avrà pure bisogno di mangiare e decide, con acuto spirito imprenditoriale, di metter su una sorta di catering per le folle». dice Cevoli.
Cos'è lo spettacolo?
«Un monologo storico-comico-gastronomico».
L'idea come è nata?
«Tre anni fa sono stato in Terra Santa. E molti di quei luoghi sono legati al mangiare: sul lago di Tiberiade c'è ancora una pietra dove con delle braci si arrostivano i pesci. Così come i racconti dei Vangeli: dalle nozze di Cana, alla motiplicazione dei pani e dei pesci, all'ultima cena. Mi sono inventato questo cuoco romagnolo che dopo qualche peregrinazione, dalla Romagna a Roma fino alla Galilea, finisce per essere il cuoco dell'ultima cena».
È un racconto da credente o una satira?
«Racconto una storia senza esprimere giudizi. È divertente, c'è molta autoironia, lo stesso Gesù ha la parlata romagnola ma è una storia. Del resto anche i quattro Vangeli più i Vangeli apocrifi sono diversi tra loro, a seconda di chi racconta le storie di cui è stato testimone. Io ho dato una mia lettura, come potrebbe averla vissuta un cuoco romagnolo finito da quelle parti».
Un gestore di catering in Palestina è credibile?
«Mah, dalle cose che si leggono nei Vangeli la convivialità della tavola c'era tutta. All'epoca mangiavano e bevevano piuttosto spesso e bene da quelle parti. Quindi serviva qualcuno che gestisse la cosa».
A Zelig vi siete fermati per un anno, è servito?
«Ma anche no. Zelig andava bene e io penso che più si sperimenta e si confrontano idee meglio è. Comunque continua ad andar bene e la gente si diverte. Questo conta».
GIUSEPPE CADEDDU