Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

ho fatto pace con Cagliari

Fonte: L'Unione Sarda
9 marzo 2011

Michela Murgia:


L'autrice di “Accabadora” donna sarda del Club Lioness:
ottimista, decisa e «preparata a far la differenza»
 «Parlo d'imperio». E precisa subito che il premio Campiello è stato importante, ma il Dessì di più. «Ha smentito il luogo comune che nessuno è profeta in patria». Nell'aula consiliare di Palazzo Civico, a Cagliari, si fa festa a Michela Murgia, venticinquesima “donna sarda” del Club Lioness. Che con Accabadora (Einaudi), ha vinto tre competizioni letterarie (la terza è il Mondello), ha venduto 280mila copie ed è stata tradotta in 21 lingue. La presidente Elisabetta Esu Targhetta le ha appena consegnato il premio, il sindaco Emilio Floris ha sottolineato l'importanza della cultura, e lei non sapendo che ruolo le spetti, prende la parola. «La Sardegna mi ha onorato del suo amore, e questo mi rende orgogliosa. Non ritengo di valere di più solo se oltremare si accorgono di me. Appartengo al mio territorio e questo mi rende felice». E poi, con la solita schiettezza: «Cagliari mi ha considerato poco. Solo in due occasioni si è occupata di me. La prima mi hanno chiesto di fare la testimonial per i cinquant'anni di Barbie. Barbie accabadora? Ho ringraziato e detto di no».
Quanto alla seconda occasione, eccola. «Grazie al club Lioness, oggi ho fatto pace con questa città. E sono felice di sentire il sindaco dire che la cultura è uno dei capisaldi dell'attività politica. Vorrei fosse così. Certo, è difficile investire se non ci sono soldi, ma se ti dicono che la cultura non ti dà da mangiare che ci puoi fare? La cultura è proteggere la scuola pubblica. Il più piccolo paese ha gli stessi diritti di accedere alle stesse opportunità di formazione e di riscatto sociale. Bisogna contrastare le politiche che penalizzano i luoghi della cultura di base. Io vengo da una piccola scuola di provincia che sta chiudendo. Se avessi dovuto andare fuori a studiare non avrei studiato».
Parla di Accabadora , la scrittrice di Cabras, stavolta su precise domande del pubblico. E spiega che il suo romanzo non ha pretese antropologiche, tantomeno è fedele. «Non esiste fedeltà nell'oralità. L'oralità nasce per essere tradita. La nostra era una cultura orale forte, poi è stata sostituita da quella scritta e noi ci siamo scordati della nostra ricchezza. Ma le parole possono essere di pietra più di un foglio che brucia. Ricordo mio nonno, si offese quando per un passaggio di terreno gli porsero un documento da firmare. “Ita esti custu paperi? Su fueddu meu balidi prusu de unu paperi”».
Poi, dopo il premio, dopo i tulipani rosa e la targa «a una donna sarda che attraverso scritti tra arcaico e moderno ci arricchisce sulla conoscenza del sapere autentico della nostra isola», ecco Michela Murgia parlare di sé, e di questo otto marzo «che negli ultimi anni è stato occasione di autocompiacimenti. In realtà noi siamo delle privilegiate. Per questo trovo positiva l'iniziativa di uno spazio imprenditoriale come Tiscali che mi ha invitato a una riflessione sulla condizione femminile. Dovrebbero essere le istituzioni a farlo. Mario Draghi non si stanca di dire che dare spazio al lavoro femminile farebbe fare un salto nazionale al Pil. Chi emargina le donne frena la crescita del paese».
Lei ha appena scritto “Ave Mary”, un saggio sul peso che l'educazione cattolica ha nell'immaginario delle donne e sulle donne».
«L'ho consegnato ieri. Uscirà a maggio per la Fiera del libro. Desideravo farlo da tempo, ma prima ho dovuto studiare. Ho frequentato l'Istituto di Scienze Religiose di Oristano, e il Coordinamento Teologhe Italiane..».
Un nuovo romanzo?
«Prima voglio farmi un regalo. Voglio investire sul territorio parte di ciò che ho ricevuto. Qualcosa di importante e costruttivo sul fronte dell'informazione».
Un libro sardo da leggere?
«“Il primo passo nel bosco” di Alessandro De Roma, edito dal Maestrale. Meraviglioso, sardissimo e fuori dagli stereotipi, una specie di Wisteria Lane alla sarda. Ambientato in uno di quei villaggetti tra Cagliari e Pula, finti ambienti rurali con quinte di cartapesta dietro alle quali c'è l'impossibile».
C'è un legame tra bugia e letteratura?
«Da bambina ero molto bugiarda. La bugia è invenzione. Credo non ci sia nulla di meglio che inventare dal vero. Questa è la letteratura: nessuno inventa mai veramente niente, si attinge sempre da una realtà che si ha intorno».
Le sue ispirazioni giovanili?
«La mia libreria è una comune hippy dove è davvero difficile trovare un padre. Potrei dire che riconosco uguale valore di imprinting a Garcia Lorca e ai libri Harmony, sono sempre stata onnivora, mai avuto snobismi. Quando ti morde la tarantola a nove anni, ti scopri in bagno a leggere le etichette degli sciampi. Oggi sono molto più selettiva».
Oggi?
«Oggi detesto i romanzi. Amo molto i saggi. Prendo il sapere altrui, cerco risposte, e domande. Un brutto saggio quando lo hai finito ti dà qualcosa, quando chiudi un brutto romanzo pensi solo ai soldi che ti è costato».
A proposito, lei è impegnata in prima fila contro l'editoria a pagamento..
«Sì, e per evitare qualsiasi legittimazione non presento mai i miei libri nei luoghi dove presentano libri pagati dall'autore. La cultura non si compra. Se tu paghi una donna non significa che la stai seducendo. La letteratura è una donna da sedurre».
Pessimista?
«Sono indipendentista, come potrei? Credo nell'autodeterminazione, nella possibilità delle persone decise e preparate di fare la differenza. Sono tornata in Sardegna per questo».
Un difetto dei sardi?
«L'autocolonialismo che ci spinge a dire che non ce la faremo mai. Ci piangiamo troppo addosso».
Il 13 febbraio l'ha vista in piazza con le donne...
«Ho anche parlato dai palchi, ho detto che dobbiamo stare attente al linguaggio. Dire che Berlusconi ci umilia? Mai. Nulla di ciò che fa mi umilia. Io sono un'altra storia. E vado in piazza a dire che sono un'altra storia».
MARIA PAOLA MASALA