Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Aree demaniali, l'ira delle imprese

Fonte: L'Unione Sarda
28 febbraio 2011


PORTO. Presentati i ricorsi al Tar, ma i tempi si annunciano troppo lunghi. Biggio (Nuova Saci): «Indaghi la Procura»

 


«Abbiamo comprato i terreni, ora ce li espropriano»

L'enorme scheletro in cemento armato che campeggia a poche centinaia di metri dal porto canale di Macchiareddu potrebbe restare così. Un'incompiuta, simbolo del fallimento dello sviluppo dello scalo marittimo. Nei programmi della MA Grendi, impresa che opera nei trasporti e nella distribuzione, il capannone dovrebbe diventare un centro logistico che lavori a stretto contatto con il porto canale. Nella stessa direzione si sono mosse altre tre aziende: Raffaele Fradelloni, Cincotta Group e Nuova Saci. Le quattro srl, con investimenti tra 40 e 45 milioni di euro, hanno acquistato i terreni dal Cacip (ex Casic) e avviato i loro progetti. Ma la nuova delimitazione delle aree demaniali, conclusa dalla Capitaneria di porto e dall'Agenzia del demanio, rischia di far naufragare tutto: progetti e investimenti bloccati, posti di lavoro e futuro del porto industriale in fumo. «La demanializzazione è illegittima, infondata e improcedibile», sbottano i responsabili delle aziende, Antonio Musso (Grendi), Vittorio Fradelloni (Fradelloni e figli), Vincenzo Cincotta (Cincotta group) e Gianni Biggio (Nuova Saci). «Andremo avanti con i ricorsi al Tar ma i tempi interminabili della giustizia amministrativa potrebbero segnare il tramonto del porto canale. Nessuna azienda italiana o internazionale avrà il coraggio di investire un euro in questa area vedendo e leggendo quello che è accaduto».
LA VICENDA La storia sembra davvero paradossale. Negli anni '70 il Casic avvia il cantiere per la realizzazione di un porto industriale su aree demaniali date in concessione al consorzio e su terreni privati espropriati. Alla fine degli anni '90 i lavori finiscono. Il Casic restituisce al demanio marittimo le opere e le aree demaniali, mantenendo la proprietà su quelle acquistate. Nel 2003 anche la commissione per la delimitazione del porto canale (composta da tre membri della Capitaneria, dell'Agenzia del demanio e del Provveditorato regionale per le opere pubbliche) sancisce che le aree non hanno «caratteristiche di demanialità» e respinge la richiesta di «delimitazione». Sembra tutto in regola e il Casic, nel 2008, decide di vendere alcuni terreni ad aziende di logistica. Nel 2009 le quattro società concludono l'acquisto di 70 mila metri quadri. Ognuna programma, per il primo lotto, ingenti investimenti per l'acquisto e la realizzazione di centri logistici: la Grendi 10 milioni di euro, la Nuova Saci 4,5, la Fradelloni 3,5 e la Cincotta 1,5. In previsione ci sono investimenti per altri 20-25 milioni di euro. Le imprese vanno avanti: ottengono le concessioni edilizie e i finanziamenti dalle banche.
Poi capita quello che nessuno si sarebbe mai aspettato. Nel giugno del 2010 la Capitaneria di Cagliari riapre la partita della delimitazione delle aree demaniali. Basta questo perché gli istituti bancari blocchino i finanziamenti per i lavori (già avviati) delle ditte Grendi e Fradelloni. Inizia una battaglia fatta di memorie difensive che non porta a niente: Capitaneria e Demanio concludono il procedimento e dichiarano le aree di proprietà del demanio marittimo. Ora la parola passa al Tar.
LE AZIENDE «Ci opponiamo in modo fermo. Questo atto blocca il porto per più di un decennio», sbotta Musso. «Chi investirà su aree che un giudice, magari tra quindici anni, potrebbe restituire ai legittimi proprietari?». Biggio va oltre: «Si è ipotizzato un bando internazionale per la cessione di questi terreni. Chi lo avrebbe deciso? Chi lo gestirebbe? Se fosse davvero così la Procura farebbe bene a interessarsene». Per Fradelloni gli atti parlano chiaro: «Nel 2003 una commissione ha dichiarato queste aree non demaniali. Ora gli stessi enti che avevano firmato quel documento si rimangiano tutto. Lo stato di diritto viene calpestato». Una vicenda che rischia di scoraggiare il mondo imprenditoriale: «Ci stanno facendo passare la voglia di investire e lavorare», dice Cincotta, «basti ricordare che si sta parlando di zona franca da vent'anni ma non si è fatto nulla».
GLI INDUSTRIALI Il presidente dell'associazione industriali della Sardegna meridionale, Alberto Scanu, lancia un messaggio chiaro: «La Regione, con a capo il presidente Cappellacci, deve svolgere il ruolo di collante tra i sette enti, Autorità portuale, Demanio, Capitaneria, Provincia, Comune, Cacip e la stessa Regione, che hanno competenze sulle aree, e trovare una soluzione in tempo rapidi. Altrimenti nessuna azienda investirà più un euro sul porto canale. Qualcuno si è già tirato indietro».
MATTEO VERCELLI

 


I sindacati «Intervenga il presidente della Regione»

«È a rischio l'occupazione attuale ma ancor di più quella futura che potrebbe raggiungere cifre ragguardevoli». Le segreterie territoriali di Cgil, Cisl e Uil intervengono sulla vertenza tra Cacip, ministero delle Infrastrutture e le quattro imprese che hanno acquistato le aree nella zona del porto canale, trasformate da private in demaniali.
«Anziché far prevalere le ragioni del lavoro», spiegano i rappresentanti delle segreterie di Cagliari, «ci si sta incartando in ricorsi giudiziari che allungano i tempi e rendono gli insediamenti industriali attuali e futuri improbabili». Per questo Cgil, Cisl e Uil rivolgono un invito al Ministero e al presidente della Regione, «perché intervengano con l'autorevolezza del loro ruolo e considerino la risoluzione della problematica tra le priorità. Perdere questa opportunità di sviluppo sarebbe imperdonabile». ( m. v. )