Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Aree demaniali, il porto muore

Fonte: La Nuova Sardegna
28 febbraio 2011

 
Gli imprenditori: «Ci opporremo a oltranza a un’operazione infondata» 
 
 
 

CAGLIARI. Quattro imprenditori con una storia alle spalle han tenuto una conferenza stampa nel capannone in costruzione del gruppo Grendi vicino al terminal container per chiedere alla Regione di risolvere il guaio secondo loro provocato dall’ultima delimitazione delle aree del porto canale. Perorava la causa anche il presidente degli industriali, Alberto Scanu, che non ha mandato a dire di temere molto quel che altrimenti succederà: la morte produttiva dell’intera zona.
Scanu ieri ha precisato che anche Cgil, Cisl e Uil condividono la richiesta di intervento da parte della Regione e del ministro dell’Economia perché la storia è ingarbugliata. I quattro imprenditori fanno sapere che si opporranno in ogni sede allo scippo delle aree «regolarmente comprate» ma finite nella delimitazione portuale quindi, per legge, destinate a diventare patrimonio del demanio marittimo senza alcun ristoro economico in capo agli imprenditori per la perdita subita. La demanializzazione, spiegavano ieri gli operatori portuali, ha effetti diversi dall’esproprio da parte di un’amministrazione in nome di un interesse pubblico: con la prima il terreno è ceduto e stop, col secondo il terreno viene pagato. Il nodo della questione sta nella definizione di ciò che è «porto» e ciò che non lo è. Secondo i quattro imprenditori la delimitazione cominciata il 24 giugno 2010 è illegittima perché riconosce come aree portuali, terreni che, secondo la loro lettura della legge, non lo sono. Di più: la delimitazione del 2010 nella tesi dei loro avvocati sarebbe addirittura infondata perché la delimitazione del 2003, come è scritto nello stesso verbale (sottolineava Vittorio Fradelloni), esauriva le necessità del porto. In altre parole: il porto ha bisogno di spazi per operare e per le infrastrutture necessarie, i terreni comprati da Musso, Fradelloni, Cincotta e Biggio non entrarono nella delimitazione perché non c’erano opere portuali. Non solo: nelle loro quattro aree esatte non erano neppure previste eventuali ulteriori opere portuali e due di loro, che lavoravano a Sa Perdixedda, decisero di sportarsi qui comprando i terreni al Cacip (il consorzio industriale) proprio perché si trattava di aree non di interesse per lo sviluppo degli stretti traffici portuali. Comprarono lì perché erogano servizi di supporto al carico e allo scarico delle merci e più vicini sono al terminal meglio per il servizio è (ha chiarito Cincotta). L’assurdo, commentavano ieri alcuni, è che da un lato si contende la proprietà a operatori che hanno regolarmente comprato terreni da un ente pubblico, il Cacip, e investito 30 milioni di euro circa, mentre ci sono aree queste sì «porto» che, ancora, al demanio non sono state cedute. La cartina mostra aree a ridosso della banchina che sono ancora nella disponibilità del Cacip e poi c’è la vicenda ormai prescritta di aree (a Giorgino) che il Cacip avrebbe dovuto cedere e non l’ha fatto. Antonio Musso, direttore Gruppo Grendi: «La cosa più grave è che il procedimento della delimitazione contro cui ci siamo opposti da subito e abbiamo trovato muri di gomma blocca e uccide lo sviluppo del porto per 10, 15 anni. Come pensano di portarli gli investitori stranieri col dubbio che fra 10 anni un giudice potrà affermare che la delimitazione non doveva aver luogo? O che queste aree non ci dovevano rientrare?». Alberto Scanu: «La grande ricchezza del nostro porto canale è la quantità di terreni che ha dietro le banchine, già decine di aziende hanno chiesto a noi Confindustria notizie perché interessate, ma l’incertezza amministrativa li ha scoraggiati e molti hanno investito altrove. E’ grave quello che è successo qui dove sono coinvolte ben 7 amministrazioni pubbliche. C’era un procedimento chiuso, qualcuno l’ha voluto riaprire, l’unico risultato è il porto bloccato». A chi giova, è la domanda del momento.

 
 

  •  2003. Nella IV delimitazione del porto canale si stabilisce che le aree poi vendute dal Cacip «non appaiono rivestire i caratteri della demanialità marittima che ne consentano un inserimento fra le categorie individuate dall’articolo 28 del codice della navigazione».
     
  •  2003-2009. La conclusione della commissione non convince tutti i protagonisti della scena portuale e comincia uno scambio di lettere tra ministero, autorità portuale, Capitaneria.
     
  •  2008-2009. Il Casic (poi Cacip) vende 70 mila metri quadri di terreno a Grendi, Raffaele Fradelloni e Figli spa, Cincotta Group srl e Nuova Saci srl. Intanto si ricomincia a parlare di Free Zone, la società di gestione della zona franca mai stata operativa. Casic e autorità portuale trovano un accordo sulle aree: tutte vengono conferite in Free Zone. Si lavora allo statuto e ai patti parasociali. I 4 privati sono inseriti nella zona franca.
     
  •  2010. La Capitaneria considera la delimitazione del 2003 non conclusa. Si fermano i lavori di Grendi e Fradelloni: le banche hanno bloccato i finanziamenti perché con la demanializzazione non hanno più la garanzia sui terreni.
  •