Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

“Generazioni Glocal”, orgoglio ibrido

Fonte: L'Unione Sarda
4 febbraio 2011

Un trentennio di arte sarda in mostra all'Exmà di Cagliari fino al 20 marzo: una “tribù orfana” tra fotografia e sperimentazione


Oddio, tutto questo è avvenuto qui da noi? Perché pare una sezione distaccata dell'appena conclusa Arte Fiera di Bologna, questa “Generazioni Glocal”, inaugurata da Provincia e Comune ieri sera all'Exmà di Cagliari (fino al 20 marzo). Brava l'ideatrice della mostra, Lorena Carboni, e chi si è presa la responsabilità di una mappatura artistica che dagli anni Ottanta arriva al qui ed ora, che non è lavoro facile. La curatrice Sonia Borsato, già direttrice di Su Palatu di Villanova Monteleone, ha invece saputo trovare il bandolo della matassa e presenta uno spaccato, seppur parziale ma bastevole, di cui essere orgogliosi. Tanto più se, come ha puntualizzato l'assessore alla Cultura Giorgio Pellegrini, questi figli dei maestri storici dell'arte in Sardegna nel dopoguerra hanno avuto dei padri inariditi, che non hanno saputo continuare nella fertile dialettica maestri-allievi che ha nutrito loro e che ha fatto parlare, fra le due guerre, di “scuola sarda”.
«La fauna giovanile si è trovata a suo agio con tutto ciò che era ibrido»: la Borsato, nutrita di studi bolognesi, cita Vittorio Tondelli per dare l'abbrivio ad un percorso, di cui la sua mostra è un saggio, che, sporcato, contaminato, ibridato, glocalizzato, ha visto i giovani artisti sardi di allora respirare il mondo senza più sentirsi in periferia. E rispondere, i giovani d'oggi, nell'epoca del precariato a tempo indeterminato, con il low cost, lo slow e i social network, «ereditando molti meno sogni e più disillusioni», facendo di necessità virtù.
Aspettando una nuova rivoluzione che resetti il sistema. Forse. Con appropriata, ma non necessaria, colonna sonora dei classici dei tre decenni, fino a “Poker face” di Lady Gaga, si percorrono le divise tre sezioni. Divisione di comodo, in realtà la linea di continuità traghetta all'oggi senza interruzioni. Una lettura alternativa può essere mettersi a metà, nella sezione '90, e vedere quanto tutto fosse già in nuce nel decennio precedente e quanto poi abbia alimentato il seguente. Non è un caso: il lavoro svolto, proprio fra fine '80 e '90, dai critici sassaresi Giuliana Altea e il compianto Marco Magnani ha dato corpo e anima all'evoluzione delle ricerche figurative nell'Isola, sdoganando artisti (non è un caso la proliferazione dei nomi sassaresi) e portando casi sardi all'attenzione nazionale.
Non solo loro, altri “volontari alla causa” ci sono stati (Christian Chironi, presente nella sezione 2000 della mostra, e presente in un'importante galleria di Firenze, ha iniziato nella serra del circolo Man Ray di Wanda Nazzari. Poi si potrebbe parlare dei mecenati, Bartoli, Soddu, ma il discorso si allarga). Fatto sta che il fil rouge del trentennio maturato appare, in solida permanenza, la figurazione. “Si fa con tutto”, si intitola l'ultimo bel libro di Angela Vettese sui linguaggi contemporanei. Ma l'approdo, all'Exmà come alla fresca fiera dell'arte di Bologna, rimane la realtà, per quanto manipolata e ibridata. Altrimenti non si spiegherebbe lo schiacciante sopravvento della fotografia, in tutte le sue declinazioni.
Adesso 35 nomi fra gli '80 e il 2011 raccontano come si possa anche snobbare il mito modernista della forma e concentrarsi sulla descrizione. Fondamentalmente, su storie. Non scevre da una raffinata conoscenza formale, in molti casi: basti rivedere la foto di Ligios e di Greta Frau (ma anche il passepartout, la cornice), la serie A di Aldo Tilocca e, di fronte, i volti di Pastorello. E dietro, decennio prima, la figura del collage di Pintus, vicino ci sono anche gli “emigrati di ritorno” Corte e Nurci. Figurazione anche nel 2000, foto, pittura, Chironi vestito da calciatore, Stefano Serusi e Setzu e Fabiola Ledda (brava questa delicata Goldin sarda). Coraggiosa la pittura di Giuliano Sale, Idili e Argiolas. Fa sorridere Stefano Cossu, “Le industrie invisibili”, con la storia di Cosimo Satta. Che ha un lieto fine: l'assunzione alla miniera di Montevecchio. Che l'arte sia tornata al suo più arcaico scopo, essere di buon auspicio per la caccia? Al lavoro, of course!
RAFFAELLA VENTURI

04/02/2011