Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Contare le pecore per non perdersi nella notte più buia

Fonte: L'Unione Sarda
23 dicembre 2010

la mostra In via Alagon a Cagliari

Maria non c'era. E, d'altra parte, cosa ci avrebbe fatto lì, l'artista novantunenne di Ulassai, in uno spazio in bianco e nero oltre il minimalismo, pieno di gente un po' “Cagliari da bere”? Né c'era una giacca rossa, beige, verde. Come mai, sempre tutto questo nero addosso? Colpo d'occhio che ci stava anche, in una mostra che si intitola “Segni notturni”, nel giorno più corto dell'anno, il 21 dicembre, che prelude all'antica festa della luce, il natale pagano. Sulla porta, a fare gli onori di casa, l'architetto Olindo Merone, che, assieme a Francesco Casu, “diversamente architetto”, perché è un regista multimediale, ha concepito questa bella mostra natalizia.
Forse la più esatta, per sobrietà, essenzialità, sottrazione. Che non è sempre cifra di Maria Lai, spesso sovrabbondante di segni e materie. Invece la Maria di “Segni notturni” (fino al 6 gennaio nello spazio Officina architettura di via Alagon 6b) somiglia all'eclisse di luna che, proprio nel giorno del solstizio d'inverno, è caduta dopo quattrocento anni a rendere ancora più buio il giorno. Racconta così, il suo buio generante vita, Maria: dieci serigrafie nere, nella prima solo un filo bianco, nella seconda un puntino, nella terza iniziano a formarsi pecorelle, via via sempre di più, un gregge cosmico, in un ritmo esponenziale. Nell'ultimo foglio, il decimo, accade il mistero. Ci si aspettava la natività, la grotta? Da Maria, invece, non ci si deve mai aspettare lo scontato, l'ovvio. Perché nemmeno lei lo sa, ciò che uscirà,da una sua opera, mentre vi lavora. Si chiama arte trascendente, appunto. Infatti, la decima serigrafia è sì, forse, l'uno, il Bambinello. Ma in forma di monolito, di esplosione, di meteorite. Non è, per forma, il monolito di “2001 Odissea nello spazio”, ma ha quel valore lì. Poi basta, lei non vuole dare spiegazioni: è ora che si smetta di chiamarla fatina, jana, bambina, e pure di cercare un significato univoco nelle sue opere. Quando a Venezia era allieva di Arturo Martini, che le diceva che lei, unica donna, lì non ci faceva niente, mica Maria gli chiedeva cosa volessero dire le sue opere. Anche perché, nel caso di questa mostra, ordinata da Merone e Casu, che ha realizzato anche il video sui presepi, è tutto molto chiaro. I due, esperti di musei multimediali, hanno chiuso il cerchio - in questa installazione - fra arte, architettura, grafica, new media. La stanza è un concentrato di declinazioni del più moderno concetto di architettura: c'è quella poetica del segno grafico, le serigrafie; quella hi-tech del video che scorre su schermo piatto bianco; quella delle due balle di fieno proprio sotto lo schermo, che sono grotta, paglia che riscalda, energia alternativa; quella dei numeri che, paralleli a ciascuna serigrafia, ne indicano la progressione, in un countdown all'inverso. Anche l'esplosione finale è architettura: liberazione del segno, della materia compressa, Big-Bang che resetta il mondo e lo fa ricominciare. E ogni mondo ricomincia sempre da una grotta, da un nido di apimuratori, da un bozzolo, da un guscio. Da un incavo nei tacchi rocciosi che incombono su Ulassai. Gli stessi che Maria magari guardava, rabbuiati dall'eclisse di luna piena, mentre in tanti erano lì a guardare le sue opere. Ammirati, trasognati. Ma a lei, di tutto questo, non interessa niente.
RAFFAELLA VENTURI

23/12/2010