L’intervento di Salvatore Settis a Sardegna Democratica
CAGLIARI. «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»: la Costituzione della nostra repubblica, all’articolo 9, eleva al rango di bene fondamentale per lo Stato il paesaggio e quindi la sua tutela, assieme al patrimonio storico e artistico e al pari di tutti gli altri diritti, base della nostra democrazia. Come la salute, il diritto di voto, quello al lavoro. Tutelare il paesaggio, in altre parole, secondo i padri fondatori della repubblica italiana, è una delle azioni positive con le quali si esprime la nostra democrazia. Durante la tre giorni promossa da Sardegna Democratica all’hotel Regina Margherita per ragionare su ambiente, lavoro, solidarietà e cultura dopo le relazioni di Gianluigi Gessa, Bachisio Bandinu, Remo Bodei, l’archeologo accademico dei Lincei Salvatore Settis ha raccontato come è nato l’articolo 9 della Costituzione. Un passo che è stato preso di peso da altre democrazie occidentali per inserire anche nei loro Paesi il valore della tutela del paesaggio. Altri padri fondatori della Costituzione non pensavano neppure di affermare questo tra i valori che la nascente democrazia italiana doveva impegnarsi a proteggere perché (raccontava Settis) addirittura «andava da sé che il paesaggio non dovesse essere toccato». Altri evidentemente più lungimiranti (sul tema) componenti della commissione, invece, insistettero. Erano Concetto Marchesi, Emilio Lussu, Ugo La Malfa, Aldo Moro: bisognava scriverlo che il paesaggio andava tutelato. Settis ha definito il piano paesistico regionale prodotto dal centrosinistra sotto la giunta Soru una cassaforte, «è l’unico piano italiano che recepisce il codice Urbani», i piani casa sono palesemente incostituzionali, figli della costituzione immaginaria di Tremonti dove si antepone l’interesse del singolo a quello comune, dove la libertà di impresa è in contrasto con le attività sociali. Settis ha rivendicato il diritto di indignarsi in nome del senso civico, un’indignazione che deve produrre la tutela collettiva. Quel che è successo a Pompei (la Casa dei Gladiatori crollata) succede in tutta Italia non solo per i beni archeologici: non si affrontano i problemi in modo strutturale, la gestione di luoghi archeologici quali Pompei viene affidata ad ex prefetti o alla Protezione civile, cioè non ai tecnici, con forte delegittimazione dei soprintendenti, e, anzi, si è accettato che andassero in pensione soprintendenti di grande autorevolezza. Sul museo Bétile, finito nel nulla: «Sarebbe stata un’icona piena di contenuti, che avrebbe dialogato col mondo». Anche il filosofo Remo Bodei si è soffermato sulla positività dell’ira, quando questa fa insorgere pacificamente i popoli e lo scrittore Bachisio Bandinu ha esaltato l’ira operosa che si fa ghandiana e che va oltre la pietrificazione del risentimento tipico di noi sardi. Le tre voci della cultura italiana sono state coordinate dal giornalista Franco Siddi, ha concluso la mattinata Renato Soru: «Qui c’è stato progetto e lavoro, fuori non c’è né progetto, né lavoro, fuori non c’è nulla».