Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Ora spuntano gli hotel a Giorgino

Fonte: La Nuova Sardegna
9 agosto 2010



Fondi europei per costruire sulle aree che lo Stato rivendica dal Cacip



POLITICA E AFFARI Il bando Costeras finanzia la trasformazione di borgate marine in strutture ricettive

MAURO LISSIA

CAGLIARI. Ora si scopre che sull’area di Giorgino, che il demanio rivendica fra quelle da restituire allo Stato, c’è un progetto finanziato con fondi europei per realizzarvi hotel e altre strutture turistiche. Si chiama Costeras e a promuoverlo è stata l’amministrazione Soru.
Tecnicamente si tratta di un «concorso di idee per la riqualificazione di otto borgate marine in Sardegna». Il bando prevede che nella «proposta ideativa» abbia la preferenza «l’edilizia ricettiva alberghiera rispetto a quella residenziale, il riuso e la trasformazione a scopo turistico di edifici esistenti, la conservazione, gestione e valorizzazione dei beni paesaggistici». A Giorgino, due passi dalla spiaggia e a fianco del villaggio dei pescatori - una borgata marina - esiste lo stabilimento della Remosa, proprietà dell’imprenditore Romano Mambrini. Se l’agenzia del demanio vincerà il braccio di ferro col Cacip - che l’altro ieri ha incassato l’appoggio di Regione, comune di Cagliari e Provincia - l’azienda dovrà sloggiare perchè perderà la titolarità del terreno acquistato a suo tempo dall’allora Casic. Potrà rivalersi sull’attuale Cacip, i legali sono già al lavoro. Ma in base alle norme la metà della volumetria industriale abbandonata potrà essere sfruttata per eventuali hotel. Che poi tanto eventuali non sono: si parla con insistenza di due strutture già progettate che farebbero capo a un notabile del Pd. Ma le coincidenze non finiscono qui: tutti i ventisette ettari di cui oggi lo Stato rivendica la proprietà si trovano fronte mare, sono superfici pregiatissime che si integrerebbero perfettamente con la destinazione del litorale stabilita nel piano regolatore del porto, appena approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici su proposta dell’Autorità portuale. Ed è proprio l’Autorità portuale che ha segnalato al ministero dei trasporti - diretto da Cosimo Caliendo - il pericolo che il Cacip vendesse quei terreni, rendendo vana una perimetrazione che in base ai documenti era conclusa fin dal 2003. Da qui ad affermare che le proprietà private del Cacip e delle aziende coinvolte sono sotto attacco da parte della ‘cricca’ naturalmente ce ne passa: a sollevare il sospetto è stato il presidente della Provincia Graziano Milia, ma a valutare la legittimità degli atti firmati dalla direttrice di filiale dell’agenzia del demanio Rita Soddu sarà la Procura della Repubblica, cui si è rivolto con un esposto di dodici pagine il presidente del Cacip Emanuele Sanna.
Emerge poi un fatto curioso, che potrebbe pesare anche nelle fasi dell’eventuale giudizio amministrativo: dodici privati le cui aree sono state a suo tempo espropriate dal Casic per realizzare il porto canale hanno ricorso ai giudici del Tar e poi del Consiglio di Stato per ottenere un maggiore riconoscimento economico. Uno ha già vinto e ha incassato otto milioni di euro, gli altri attendono le sentenze di secondo grado. Come dire: i giudici amministrativi certificano la responsabilità del consorzio industriale sull’indennizzo degli ex proprietari delle superfici ma lo Stato afferma - e lo fa in termini di certezza - che quelle stesse superfici non appartengono al Cacip, che quindi sarebbe chiamato a pagare per conto dello Stato. Ad occhio e croce sembrerebbe una contraddizione, sulla quale i magistrati dovranno esprimersi. Nel frattempo la battaglia è destinata a proseguire sui canali giudiziari: un ricorso al Tar è imminente. Mentre sul piano politico le forze in campo, col governo in bilico e lo scandalo della P3 in corso, sono tutte da definire.

La denuncia: «Richiedere quei terreni è un abuso abnorme e viola la proprietà»




CAGLIARI. La nuova delimitazione delle aree con il passaggio al demanio di terreni privati da decenni e venduti dal Casic alle aziende rappresenta «una palese violazione del diritto di proprietà privata» e un «abuso abnorme dei poteri previsti e attribuiti per legge alla stessa commissione di delimitazione»: è scritto nell’esposto-denuncia firmato dal presidente del Cacip Emanuele Sanna e inviato alla Procura della Repubblica, al Ministero delle infrastrutture e trasporti, al Procuratore generale della Corte dei Conti e al Presidente della Regione. Nell’atto i vertici del consorzio industriale attaccano punto per punto l’iniziativa assunta dalla Capitaneria di Porto su richiesta del Ministero ipotizzando l’esistenza di atti falsi e di errori gravi nella procedura. L’esposto parte da alcuni documenti datati 2003 e 2004, nei quali risulta - così scrive Sanna - che le aree demaniali sono state restituite allo Stato appena conclusa la realizzazione delle opere portuali. Ma il punto critico della vicenda è un altro: secondo il Cacip verbali e comunicazioni successive certificano inoppugnabilmente che il procedimento di delimitazione definitiva delle aree, con l’identificazione e la distinzione fra quelle demaniali e quelle del consorzio, è stato concluso sette anni fa. Quindi la nota del comandante Giuseppe Mastroianni con la quale viene comunicato «l’avvio del procedimento di delimitazione definitiva ai sensi dell’articolo 32 del codice della navigazione» è in pieno contrasto con i verbali precedenti. In particolare quello del 20 gennaio 2003 dove la commissione - composta dalla stessa Capitaneria di Porto, dal provveditorato regioanle opere pubbliche e dall’Agenzia del Demanio - afferma che «non traspare una destinazione attuale delle aree in esame ai fini marittimi e le stesse non presentano caratteristiche geomorfologiche di demanialità». Con queste motivazione la commissione dichiara «improcedibile» la richiesta di delimitazione, richiesta che oggi viene reiterata dalla stessa autorità statale firmataria del verbale. Nel frattempo le aree sono passate a quattro aziende private e il Casic ha versato consistenti oneri per l’urbanizzazione. Ma questi aspetti non sembrano interessare minimamente a chi oggi richiede la proprietà dei terreni. (m.l)