Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Aree portuali: è guerra di sospetti

Fonte: La Nuova Sardegna
9 agosto 2010



Ipotesi di interessi privati, Comune e Provincia parlano di «scippo»


Spuntano lettere contradditorie firmate dal fratello del sottosegretario Giacomo Caliendo Il Cacip: «Atti falsi»

MAURO LISSIA

CAGLIARI. Si allunga l’ombra della cricca sui ventisette ettari di terreni privati nell’area Cacip che l’agenzia del demanio vorrebbe riportare alla proprietà statale. La denuncia pubblica è partita dal presidente della provincia Graziano Milia. Le aree, tutte sul mare di fronte a Macchiareddu, sono oggi in capo a quattro aziende con 250 persone che vi lavorano.
Milia e il presidente del Cacip Emanuele Sanna - che ha depositato un esposto di dodici pagine in Procura - ipotizzano operazioni poco chiare e interessi privati dietro un’iniziativa che a leggere la denuncia sarebbe viziata da atti falsi. A lanciare la nuova offensiva sulla proprietà delle aree è stata la direttrice di filiale dell’ufficio del demanio, Rita Soddu. Per lei non c’è alcun dubbio: le superfici sono sempre state del demanio. Già dieci anni fa s’era scatenata la battaglia con l’allora commissario dell’autorità portuale Francesco Donato, oggi la vicenda si ripete con sfumature e passaggi diversi.
Ma in attesa che si pronuncino i giudici - quelli penali, ma più avanti quelli del Tar - sarà utile ricostruire alcuni passi fondamentali della vicenda. Partendo dal primo gennaio 2003, quando la commissione di delimitazione dichiarò «improcedibile» la richiesta di riportare le aree al demanio. La questione sembrava chiusa, tant’è che il direttore generale del ministero dei trasporti Cosimo Caliendo, fratello del sottosegretario finito sotto inchiesta per la P3, il 10 ottobre 2005 scrive una nota alla Capitaneria di porto facendo riferimento alla conclusione della procedura di delimitazione. Ma è da qui che partono le sorprese: due anni più tardi, il 27 ottobre 2007, lo stesso Caliendo sembra dimenticarsi di quella nota e segnala alla Capitaneria e all’agenzia del demanio che l’Autorità portuale ha riferito di aree Casic in vendita. Sono sempre quelle, ma secondo Caliendo è urgente fermare il consorzio per evitare che l’operazione pregiudichi la delimitazione in corso. Quindi la delimitazione - la quinta, quella definitiva - da una parte è conclusa e dall’altra è in corso, ma ad affermarlo è lo stesso dirigente pubblico.
Fatto sta che sull’iniziativa di Caliendo si inserisce la direttrice del demanio: prima ancora che la procedura vada avanti, coi tempi di legge per le controdeduzioni, scrive in una nota del 9 luglio scorso che «la natura demaniale ab origine dell’intero ambito portuale, nel quale ricadono anche le aree oggetto del richiesto intervento da parte della società Grendi, è stata già accertata» malgrado il verbale della commissione di delimitazione affermi l’esatto contrario. Quindi sarebbero nulli anche i titoli di proprietà avanzati dalle quattro aziende che hanno acquistato dal Casic-Cacip i terreni contestati. Chi ha ragione? Per i vertici del Cacip le carte parlano chiaro: quelle aree sono private da almeno cinquant’anni e la quinta delimitazione, quella del 2003, non lascia spazio a dubbi. Per la direttrice del demanio è vero il contrario. Come dire che una controversia legale, denunce penali a parte, sarà inevitabile.
La guerra di carte bollate dovrebbe comonciare prima di dicembre, prima che scatti il decreto o il silenzio-assenso del ministero dei trasporti, che riporterebbe le superfici in mani pubbliche. Nel frattempo fioccano i sospetti, basati su un dato: una volta sottratti all’attività industriale i terreni potrebbero essere edificati e ceduti a privati con una volumetria pari alla metà di quella oggi utilizzata.
Comunque sia le aziende private - Grendi, Cincotta group, Nuova Saci e Fradelloni - in preda al panico: perdere le aree significherebbe chiudere bottega. Le conseguenze sono già tangibili: l’inziativa del demanio ha indotto le banche a tagliare linee di credito e leasing e le aziende si preparano a rivalersi sul Cacip. Poi ci sono i 250 posti di lavoro che secondo Milia andrebbero perduti.
Il finale della storia è ancora da scrivere, comprese le conferme o le smentite sui sospetti di interessi anomali. La sola certezza è che ieri, alla seduta del Comitato interassessoriale per le emergenze economiche e sociali, Milia e il sindaco Emilio Floris hanno parlato di «scippo» e annunciano una battaglia campale per difendere la proprietà delle aree. Risposta politica forte: si è parlato di un ricorso immediato al governo a tutela delle autonomie locali e l’assessore Giorgio La Spisa, in toni più pacati, si è detto d’accordo sulla necessità di risolvere in fretta la controversia e di difendere l’autonomia della Regione - che ha investito sul porto - e dei proprietari del Cacip: la Provincia (40%), il comune di Cagliari (30%) e i sei comuni confinanti (5% ciascuno). Previsione facile facile: è soltanto l’avvio di una battaglia legale e politica che mette uno di fronte all’altro istituzioni ed enti pubblici. Ragioni e obbiettivi sono tutti da chiarire.