Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Un Puccini dal sapore classico

Fonte: La Nuova Sardegna
22 luglio 2008

MARTEDÌ, 22 LUGLIO 2008

Pagina 39 - Inserto Estate

«Andrea Chénier» ieri a Cagliari diretto da George Pehlivanian

GABRIELE BALLOI

CAGLIARI. Opera di ripensamenti. Così potrebbe soprannominarsi l’«Andrea Chénier». Dopotutto, un ripensamento sta proprio alla base della sua genesi creativa, allorché un compositore oramai sconosciuto, il barone Alberto Franchetti, cambia opinione sul soggetto dell’opera e ne cede i diritti a Umberto Giordano. Sarà Luigi Illica, librettista di Puccini per «La Boheme», «Madama Butterfly» e «Tosca» a ripensare le vicende del poeta francese André Marie Chénier, la cui vita fu già romanzata da Joseph Méry. Altri ripensamenti saranno quelli di Giordano stesso su alcune invettive anticlericali di Illica, tagliate per prevenire la censura. Ripensamenti poi furono quelli dell’editore Sonzogno («Irrapresentabile» disse) e del Teatro alla Scala che alla vigilia della prima, nel marzo 1896, dubitarono vivamente sull’esito che fu invece di enorme successo. A cambiare opinione è anche parte della critica specializzata, che ne rivaluta oggi le fattezze compositive, l’orchestrazione peculiare, la calda vena melodica, spesso di piacevole cantabilità.
Per gli estimatori o meno ecco l’«Andrea Chénier» che ha debuttato ieri al Comunale, con repliche fino al 29 (eccetto il 24 e il 28) sempre alle 21. Con questo nuovo appuntamento della Stagione il Lirico richiama sul podio George Pehlivanian, mentre l’allestimento è del Comunale di Bologna con regia, scene e costumi di Giancarlo Del Monaco, figlio del tenore Mario, memorabile interprete proprio dello «Chénier». Una rappresentazione scenica di sapore classico, perfettamente calata nella cornice storica della Rivoluzione francese e del Terrore. Ma non c’è retorica in tutto ciò. Anzi, Del Monaco usa il rispetto dell’ambientazione narrativa come una tela su cui tracciare le proprie idee, le sue sorprese. Come quella, ad esempio, delle suggestive citazioni pittoriche di David e Delacroix; oppure le luci al Iº atto, molto ben curate da Wolfgang von Zoubek, che creano su finti specchi effusioni cromatiche d’un certo fascino; i fondali di tessuto scuro danno un senso di ansia e inquietudine; o ancora, nel finale, le grate mastodontiche delle prigioni di San Lazzaro, attraverso cui i due amanti/protagonisti assurgeranno al loro idealizzato martirio.
Il cast è piuttosto buono. Walter Fraccaro, tenore di voce robusta, sicura e ben sostenuta sul fiato, è uno Chénier deciso, indubbiamente eroico e perentorio negli atteggiamenti, che si tratti di declamar poesie o di fare arringa per difendersi dall’accusa di tradimento, personaggio più romantico che verista. Imponente, nell’aspetto e nel canto, la Maddalena del soprano Martina Serafin, discreta la caratterizzazione psicologica, ampia vocalità, un po’ scura e chiusa nelle note centrali, peccato soltanto per il fraseggio che oscilla tra raffinate ed emozionanti espressività in certi casi, e slanci troppo smaccati e ridondanti in altri. Apprezzabile il Carlo Gérard interpretato dal baritono Marco Vratogna, carismatico, sanguigno, velleitario, con vocalità spesso incisiva, illustra bene l’evoluzione del domestico che diventa un’autorità rivoluzionaria per poi mutare ancora, questa volta contro ciò in cui crede.
Perché l’«Andrea Chénier», soprattutto per tale motivo, può dirsi un’opera dei ripensamenti, nella quale i protagonisti (e non solo) devono fare i conti con le conseguenze dei loro ideali. Chénier deve ricredersi sul movimento rivoluzionario, Gérard fa lo stesso, e anche la giovane contessa Maddalena dovrà maturare. Giordano e Illica mettono in scena la natura pericolosa delle ideologie, che dissolvono i sentimenti dell’individuo nell’impersonale violenza di massa.