Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«La leggenda di Kitez», esaltante e titanica sfida

Fonte: La Nuova Sardegna
24 aprile 2008

È un’autentica sfida. Che in questo caso potrà dirsi perfettamente riuscita, benchè, nell’immediato, magari non lo si colga appieno. Dopotutto son quattro atti, di circa un’ora ciascuno, in cui l’attenzione può talvolta venir meno. E poi, diciamolo, «La leggenda della città invisibile di Kitez e della fanciulla Fevronija», lunga persino nel titolo, non è opera familiare al grande pubblico o quantomeno a quello italiano. Detto ciò, chiunque abbia modo oggi (alle ore 20), o nelle altre repliche, di andare al Comunale a vederla, non potrà tornare a casa senza l’impressione di aver assistito a qualcosa di insolito, originale e ricercato, a uno spettacolo di sottile bellezza e poesia, dove la genialità del regista lituano Eimuntas Nekrosius si coniuga magicamente alla partitura di Nikolaj Rimiskij-Korsakov diretta da Alexander Vedernikov, il direttore musicale del Teatro Bolshoi di Mosca con cui il Lirico ha coprodotto il nuovo allestimento (alla “prima” andrà in diretta radiofonica Euroradio, su RaiRadioTre). Ma in cosa consiste una tale impresa? Innanzitutto nella complessa abbondanza di tematiche, metafore, simbolismi, personaggi d’ogni genere (umani o bestiali, mitologici o ultramondani), la copiosità di scene e ambientazioni, una città che svanisce per miracolo, uccelli profetici, feste, battaglie, cortei nuziali, ieratiche trasfigurazioni e scenari di natura (un lago, la steppa, boschi e foreste). Insomma, un contenitore che trabocca. E all’arte di Nekrosius e Vedernikov il compito di arginare ogni possibile eccesso, di non cadere in una rappresentazione manieristica e ridondante del melodramma russo. Ma il pericolo è ben distante. Infatti Nekrosius, che non manca certo di raffinata inventiva, realizza una messinscena estremamente sofisticata e non retorica, elegante ma mai sfarzosa, dove tutto rimane entro i confini quasi intimisti di un quadro da fiaba, dove l’ampio respiro epico-leggendario di tutta la narrazione è stemperato, almeno in parte, nel calore d’un lirismo romantico ed onirico. Cosa non facile, se si considerano le implicazioni panteistiche, pagane, cristiano-ortodosse, gli elementi storici che si fondono con quelli fantastici, e tutta una serie d’altri fattori che potrebbero indurre a esagerazioni scenico-teatrali. Invece nella regia di Nekrosius regna una colorata e visionaria sobrietà, con le pittoresche ed evocative scenografie del figlio, Marius, i costumi tradizionali o da favola di sua moglie Nadeda Gultiajeva, e le luci di Audrius Jankauskas. La “Kitez” di Rimiskij-Korsakov è in effetti un’opera il cui esito rimane molto legato alla parte visiva. Nekrosius, che ne ha grande consapevolezza, esprime ciò soprattutto nella mimica particolarissima dei protagonisti, una gestualità curiosa e indefinibile come un linguaggio arcaico, surreale, che si sposa squisitamente con il canto in lingua russa (sopratitoli in italiano) e la musica suadente e variopinta di Rimiskij-Korsakov. Ha perciò i suoi meriti anche Vedernikov, che guida egregiamente l’Orchestra e il Coro (preparato da Fulvio Fogliazza) del Lirico. La compagine cagliaritana dimostra una buona ricchezza timbrica, gli ottoni in particolare sembrano in ottima forma e il direttore russo, dall’inizio alla fine, riesce ad equilibrare tutte le sezioni strumentali con pregevoli impasti sonori. Come il titolo stesso suggerisce, tutta la vicenda (su libretto di Vladimir I. Bel’skij) ruota intorno alla leggenda della città e della giovane Fevronija, una deliziosa Tatiana Monogarova, soprano che convince sia per la vocalità palpitante, ben calibrata e passionale, sia nella caratterizzazione esemplare del personaggio, ricco di sfumature e sfaccettature psicologiche. Degno di nota è anche il torbido Griska interpretato dal tenore Mikhail Gubsky, voce non grandissima, ma di ideale espressività per quello che forse è l’altro polo di gravitazione simbolica di tutta la trama, diametralmente opposto alla docile e virtuosa Fevronija. Belle voci anche quella del tenore Vitaly Panfilov (il principe Vsevolod), per il solido controllo in tutta l’estensione ed un colore nobile e omogeneo, e quella del mezzosoprano Marika Gulordava (il Paggio), agile, brillante, dal timbro nitido e luminoso. Ben immedesimati anche i due bassi nel ruolo dei guerrieri tartari, Valery Gilmanov (Bedjaj) e Alexander Naumenko (Burundaj), seppure non sempre possenti e duri come converrebbe a tali personaggi; discreto il basso (quasi un basso-profondo) Mikhail Kazarov nella parte del principe Jurij. Mentre encomiabile risulta l’esibizione del coro, sempre intenso e vivido che diretto da Fogliazza continua a dare risultati di qualità.