Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Forme di luce e colore, l’arte dei macchiaioli risplende in Galleria

Fonte: La Nuova Sardegna
7 luglio 2010





In esposizione una cinquantina di capolavori: da Fattori a Lega, da Signorini a Boldini, da Banti a Boldini e Fontanesi

WALTER PORCEDDA

E la luce creò la vita. In tutte le sue forme. Le stesse che poi il colore accende alla realtà. Così almeno i nostri occhi le percepiscono. Filtrando tra cuore e illusione, sentimento e memoria ne modellano i contorni dove si sovrappongono e sfumano campiture e riflessi. Macchie di colore che si confondono con altre. Si sovrappongono, aggiungendo o sottraendo tonalità e mistero. Questo è in fondo il centro dell’agire del primo vero grande movimento d’arte di una Italia fresca di unità risorgimentale. Movimento di pittori e critici ribattezzato dei macchiaioli, nel 1862, secondo una definizione con intento forse dispregiativo de «La Gazzetta del popolo» di Firenze, riferita a quel gruppo d’artisti, toscani, ma non solo, che usava riunirsi dal 1856 nei pressi dell’Accademia, nel Caffè Michelangelo.
Ed è proprio a questo gruppo di pittori, principalmente dedicata l’imperdibile esposizione che si inaugura domani alle 19 negli spazi della Galleria d’Arte ai Giardini Pubblici: «Da Fattori a De Chirico». Raccoglie oltre cinquanta opere della collezione Grieco che la Pinacoteca di Bari ha dato in prestito per due mesi allo spazio museale sardo (fino al 6 settembre). Occasione rara per gettare uno sguardo d’insieme sull’opera dei macchiaioli dei quali quel collezionista raffinato di Luigi Grieco raccolse preziosi capolavori con puntigliosa passione assieme ad altre opere del Novecento (da De Pisis a Carrà, da Sironi a De Chirico).
Ma è proprio l’universo macchiaiolo la vera scoperta culturale che questa mostra, curata da Anna Maria Montaldo e Clara Gelao, offre al visitatore. Restituendo sino in fondo, tra visioni da brivido, l’eccezionale portata di quel movimento d’arte italiano capace di influenzare e anticipare la nascita dell’impressionismo francese. Proprio loro, che dai francesi Millet e soprattutto da Courbet presero l’ispirazione per dare il via a un fecondo rinnovamento estetico.
Con ampie macchie di colore definirono volumi e forme modellati con le tecniche del chiaroscuro. In questa esposizione vengono incontro con forte enfasi poetica. Addirittura cinematografica in quel sontuoso biglietto da visita che accoglie all’ingresso: il «Ritorno della Cavalleria» del 1988 di Giovanni Fattori, uno dei suoi più celebrati esponenti, che ferma come un fotogramma di un film l’avanzare a passo di trotto di una compagnia di lancieri a cavallo per due file parallele su una via polverosa inondata dal sole.
Poi è come un’avventura passare attraverso le sale della Galleria. Dove le opere della collezione Grieco si incastonano perfettamente - nell’intelligente messa in scena ordita dagli allestitori - tra le altre della residente collezione Ingrao. La completano quasi in un intrigante gioco di sponda e rimandi tra quadri e artisti, tonalità di colore e visioni. È uno slalom intelligente, un intrecciarsi di anime gemelle, tra collezioni affini. Potrebbe persino essere un elegante rebus di immagini da risolvere. Così la donna intenta alla «Lettura» di Silvestro Lega, dal ricco fascino cromatico dei verdi fa pendant alle opere di Pazzini e Colao. E il paesaggio autunnale con i buoi di Antonio Fontanesi rimbalza specularmente i superbi «Buoi all’abbeveratoio» di Gioli. Oppure è l’emozionante «Passeggiata sotto la pioggia» di Cristiano Banti con quattro donne intente a passeggiare protette da grandi ombrelli in una campagna immersa nel verde che si rispecchia nella soleggiata «Marina» di Innocenti del 1960, con due donne davanti alla linea blu del mare.
Le sollecitazioni si sommano scoprendo altri tesori. Dalla veduta de «L’Arno alla Casacca» con un cielo plumbeo e minaccioso di Giuseppe Abbati ai ritratti palpitanti di vita di Giovanni Boldini. Sembra di ascoltare le voci del Mercato Vecchio di Firenze nell’«Antica via del fuoco» di Telemaco Signorini autore anche di una metafisica «Strada a Ravenna».
Da una Porta di Saint Denis a Parigi rigurgitante di folla di Giuseppe De Nittis alla via di Volpedo inondata di quiete di Giuseppe Pelizza. E poi le altre opere targate Novecento. Da una malinconica «Ragazza sulla poltrona» di Felice Casorati a «Montagne» di Mario Sironi. E ancora quadri di Mafai, Carrà, Rosai, Morandi e De Chirico con i suoi Cavalli e una turbolenta e misteriosa immagine di Venezia del grande Filippo De Pisis, un artista che, come scrive Guido Ballo, amava «l’illuminazione improvvisa, il miracolo dell’attimo che continuamente si distrugge e rinasce».