Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Viva la morte insiem!

Fonte: L'Unione Sarda
22 luglio 2008

Una gavotta ballata sull'orlo del baratro: è il mondo di cipria e confetto che va in frantumi, portandosi via l'Ancien Régime e aprendo le porte alla Rivoluzione Francese. Si chiude così il primo quadro di questo Andrea Chénier che torna a Cagliari (per la prima volta al Lirico) dopo sedici anni di assenza. Proposta nell'allestimento del 2004 del Teatro Comunale di Bologna, l'opera di Umberto Giordano è stata accolta con grande favore dagli spettatori della prima, che dopo un'iniziale freddezza hanno sottolineato ogni momento clou con applausi a scena aperta: indirizzati al tenore Walter Fraccaro, al debutto nel ruolo, al soprano viennese Martina Serafin, (Maddalena) al baritono Marco Vratogna (Carlo Gérard). Ai molti bravi comprimari, all'orchestra e al coro diretti da George Pehlivanian.
Un'accoglienza più calda del solito (nonostante parecchie poltrone di abbonati in vacanza), per un'opera di voci e di passione. Da sempre poco amata dalla critica, da sempre esaltata dal pubblico, trova nel libretto di Luigi Illica e nelle melodie del giovane musicista foggiano (Giordano aveva appena 29 anni) tutte le corde necessarie per commuoversi, e partecipare al dramma. E non è un caso che Jonathan Demme, il regista di Philadelphia , quindici anni fa abbia utilizzato l'aria della Mamma morta (cantata da Maria Callas) per esaltare il pathos di un film già straziante.
La regia di Giancarlo Del Monaco, che firma anche scene e costumi e si avvale della collaborazione di Marco Carniti, è fortemente simbolica. Per tutti vale quella scatola di vetro che contiene il salotto di Coigny. Salterà per aria, sull'ultima gavotta, (con qualche problema di tempi tecnici) mandando in frantumi un'epoca e riflettendo negli specchi la platea. Anche noi come loro, un po' ipocriti e classisti.
È il momento più significativo della messinscena. Simbolica è l'irruzione del Terzo Stato nella casa della contessa di Coigny, con quel popolano che tiene un bambino tra le braccia, tableau vivant della Pietà. Il resto (secondo, terzo e quarto quadro) è il Terrore. Il ripetersi - dopo la ventata libertaria dei primi anni - di altre ingiustizie, altri crimini. Intorno all'obelisco di Marat (una marmorizzazione del celebre dipinto di David), Incroyables e Merveilleuses - spie e prostitute - intrecciano i loro affari, mentre sullo sfondo lo sventolìo di bandiere tricolori sottolinea il continuo passaggio dei carretti dirette alla ghigliottina.
Una citazione di un Delacroix successivo alla Rivoluzione ( La Libertà che guida il popolo è del 1830), ci suggerisce che qui e ora di libertà non è il caso di parlare. È il Terrore robespierriano a trionfare, la degenerazione della Rivoluzione e dei suoi ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza. Trova terreno fertile, nell'orrore di Parigi, e nell'opera verista di Illica-Giordano, l'amore dei due giovani. Maddalena non ha mai dimenticato quel giovane poeta che un giorno nel salotto di casa sua le parlò di passione, di giustizia, di patria. Lo cerca, e lo ritrova, per morire con lui. Finiranno insieme sul patibolo. La giovane che fu “capricciosa e un po' romantichetta” prende con gioia il posto della condannata Idia Legray, e muore con Chénier, tradito, e poi difeso, da Carlo Gérard, l'ex servo “gallonato e muto” di casa Coigny ora votato alla causa della Rivoluzione. Una grata scenderà sui due giovani, come una ghigliottina. A simboleggiare il carcere, a offrire loro nella scena finale uno spazio sul quale arrampicarsi per un'altra ascesa verso territori più alti e puliti.
Muoiono come Radamès e Aida, i due. Felici di morire («viva la morte insieme, la nostra morte è il trionfo dell'amore..».). Resterà vivo e potente con i suoi rimorsi Gérard, il personaggio più complesso, tormentato e affascinante (non a caso è un baritono) di questa storia che mischia realtà e finzione. Padrone di Parigi come Scarpia lo era di Roma, ma ben più generoso del suo simile di fronte alla donna che è disposta a concedergli il suo corpo pur di salvare l'amato.
Trionfa l'anima, trionfa l'esaltazione dell'amore, trionfano le emozioni più elementari. Quanto alla Rivoluzione (indimenticabile, per il pubblico cagliaritano l'affresco di qualche anno fa dei Dialoghi delle Carmelitane di Poulenc-Fassini), in questo preciso momento regala solo angoscia. A rappresentarla è quel sipario cupo che domina secondo, terzo e quarto quadro. Fatto di grumi che secondo la scelta registica di Del Monaco si ispirano a Burri, evoca la carne viva. Come carne viva è la storia appassionante che si racconta.
MARIA PAOLA MASALA

22/07/2008