Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

«Tosca» al Comunale, melodramma d’amore in salsa tradizionale

Fonte: La Nuova Sardegna
5 luglio 2010




L’allestimento, ieri al debutto con la regia di Mario Pontiggia e la vigorosa bacchetta di Vedernikov mostra interessanti idee scenografiche ma anche un cast con qualche limite

GABRIELE BALLOI

CAGLIARI. Titolo tradizionale da ieri al Comunale, sul cartellone del Lirico, come tradizionalissima è la regia di Mario Pontiggia che riallestisce «Tosca» in una produzione 2008 del Maggio Musicale Fiorentino. Spazi architettonici ampi e sontuosi ricalcano fedelmente l’ambientazione romana, con scene e costumi di Francesco Zito, luci di Alfonso Malanda Rodriguez. Nel primo atto, ad esempio, l’interno della cupola di Sant’Andrea della Valle è visibile in tutta la sua profondità grazie a un artificio prospettico: quasi simbolo del “tunnel di eventi” da cui, di lì a poco, verranno inghiottiti i vari personaggi nell’arco d’una sola giornata. Da quella medesima scena, peraltro, si ricava una struttura lignea salendo la quale Floria Tosca si getterà da Castel Sant’Angelo, struttura che - «profeticamente» - era apparsa in precedenza come ponteggio di lavoro per il pittore Mario Cavaradossi: così, il luogo delle effusioni amorose tra i due amanti diviene anche l’elemento scenico di fronte e attraverso cui perderanno entrambi la vita (Mario fucilato lì dinanzi, Tosca vi salirà per suicidarsi). Insomma, nulla di più classico del binomio d’amore e morte, l’archetipo inossidabile dell’eros-thanatos. Ma è proprio l’essenzialità tematica che permette a Puccini di creare un melodramma dal ritmo serrato, quasi cinematografico, di ricorrere con vena originalissima alla tecnica wagneriana del Leitmotiv, trasformando il lavoro di Vincent Sardou, ridotto nel libretto di Illica e Giacosa, in una gemma lirica.
Con repliche fino al 12 luglio, «Tosca» ha debuttato avvalendosi d’una bacchetta ormai nota al pubblico cagliaritano: Alexander Vedernikov, dal 2001 al 2009 acclamato direttore musicale del Bolshoi di Mosca ieri alla guida di orchestra, coro (preparato da Fulvio Fogliazza) e voci bianche (istruite da Enrico Di Maira) del Lirico.
È una lettura a grandi pennellate quella che propone il maestro russo, pur non scevra di sfumature ma maggiormente incentrata su un suono turgido e pieno, vigoria sonora a cui sembrano adeguarsi, con risultati discontinui, anche i protagonisti. La Tosca di Anda-Louise Bogza, per esempio, non manca di qualche limite: attorialmente godibile nelle prime scene di gelosia, così genuinamente vezzosa e civettuola, appare tuttavia un po’ meno convincente proprio nei momenti drammatici, dove le manierate movenze teatrali sottraggono di naturalezza e spontaneità il pathos del personaggio (forse, questo, anche limite della regia di Pontiggia); e se la voce, dal timbro brunito, risulta giunonica e intensa nel registro medio o medio/alto, va perdendo talvolta un po’ di volume e di tempra nella zona più acuta. Anche il Mario di Roberto Aronica, per quanto spesso tonante e impetuoso, va rischiando a tratti un’interpretazione monocorde, è un Cavaradossi che esulta mordace per la vittoria di Napoleone a Marengo, ma non s’accende altrettanto nello scoprire l’ipotetica possibilità di fuga con l’amata; eppure, quest’allievo di Bergonzi, non è privo nè d’un bel timbro, difatti chiaro e lucente, nè di talune belle intuizioni di fraseggio. Più verve ha Giorgio Surian, forse vocalmente meno squillante e poderoso rispetto alla Bogza e ad Aronica, ma più incisivo, ed autentico mattatore, ottimo nella sua recitazione di Scarpia che, non solo per assonanza di nome, è il vero “scorpio” velenoso e compiaciuto della sua perfidia, mentre tenta d’iniettare risentimento fra gli amanti per farli differentemente sue prede, e divenendo invece lui stesso vittima della “cuspide” di Tosca. Discreti gli altri interpreti: Carlo Bosi (Spoletta), Marco Camastra (il sagrestano), Alessandro Guerzoni (Angelotti), Francesco Musinu (Sciarrone), Alessandro Perucca (un carceriere) e la giovane Alessandra Mei, che dà voce al pastorello “fuoricampo” del terzo atto. Una rappresentazione non strepitosa ma gradevole.